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L’inchiesta petroli resta alla Procura di Potenza, ma il “fronte del porto” ad Augusta si allarga…

Quando si scoprono gli altarini delle malefatte dei potentati politici e delle grandi multinazionali della chimica e della raffinazione, alla fine sono sempre i lavoratori a pagare. Sono state avviate le procedure per collocare in cassa integrazione ordinaria i 430 addetti ai lavori del centro oli di Viggiano a Potenza di proprietà dell’Eni, dopo che l’impianto è rimasto fermo dallo scorso 31 marzo. La procura di Potenza, con l’accusa d’inquinamento, ha sequestrato senza facoltà d’uso gli impianti, nell’ambito dell’inchiesta dei petroli. Sono rimaste in attività solo le squadre degli operai necessari a garantire la sicurezza degli impianti.

Il Tribunale del Riesame di Potenza ha respinto il ricorso dell’Eni finalizzato ad avere il dissequestro del Centro Olii, e la partita giudiziaria ora si sposta in Corte di Cassazione a cui i vertici dell’Eni hanno già annunciato di voler ricorrere. Solo che il pronunciamento della Cassazione, che non avviene mai in tempi brevi, l’Eni ha deciso di procedere con la cassa integrazione guadagni.

La raffineria del gruppo Eni di Taranto, con 450 addetti che lavorano il greggio estratto a Viggiano, per il momento non è stata coinvolta nella richiesta degli ammortizzatori sociali. Dopo che sono venuti meno gli 80mila barili al giorno di greggio, assicurati dalla Val d’Agri, l’Eni nei giorni scorsi ha fatto arrivare a Taranto due petroliere che hanno assicurato alla raffineria l’approvvigionamento necessario per la produzione della benzina e del gasolio. La preoccupazione dei sindacati è l’autonomia della raffineria che ha un margine che è di circa quindici giorni. Ma l’Eni a sua volta vuole far arrivare altre navi nel terminal petrolifero di Taranto per garantire comunque il lavoro e non fermare gli impianti di raffinazione. Una guerra che alla fine pagano sempre i più deboli della catena.

Sul fronte delle indagini, la procura di Potenza rimane per il momento unica titolare dell’inchiesta, e in tale senso si registra la collaborazione fattiva tra le varie procure interessate, dove durante lo sviluppo delle indagini sono venuti fuori elementi probatori utili a confermare o smentire riscontri oggettivi, tra cui Palermo, Siracusa e Caltanissetta in Sicilia, così come in altre posti d’Italia.

Si approfondiscono gli aspetti giudiziari apparsi subito interessanti, specie per l’inchiesta che riguarda Augusta; si sarebbe innescato un meccanismo parallelo all’inchiesta madre, sulle speculazioni dei terreni attorno al porto commerciale di Augusta e nei dintorni di Punta Cugno, espropriati al prezzo di pochi euro a metro quadro e rimessi in un circolo vizioso a 35 euro. Specie nella zona interessata all’espansione delle banchine del costruendo porto containers in prolungamento delle banchine dello scalo marittimo commerciale di Augusta, così come per la realizzazione del parco serbatoi degli idrocarburi, di cui si fa riferimento nelle varie intercettazioni telefoniche degli indagati dalla procura di Potenza, sull’affare Augusta Petroli. Insomma, una viziosa circolare catena, dove appaiono a tratti uomini della politica, liberi professionisti e imprenditori i cui nomi sono ancora sotto il segreto istruttorio. Fatti e circostanze che non lascerebbero spazio alla tesi accusatoria della Procura di Potenza, ma anche alla conferma che ancora nell’inchiesta ci sono diversi punti oscuri e diversi filoni d’indagini che si stanno sviluppando nel silenzio degli investigatori, nell’esaminare documenti, atti e passaggi di proprietà, ma anche gli aspetti che ricompongono la componente che avrebbe fatto da tramite tra le istituzioni e le aziende private, dove spuntano fuori tanti altarini ancora tutti da svelare nell’inchiesta sul petrol-gate di Potenza.

Concetto Alota

 

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