Cultura

Palazzolo, successo per la mostra-evento al museo di Palazzo Cappellani

L’arte rinascimentale siciliana affascina residenti e turisti incantati davanti ai capolavori di due artisti illustri: Antonello da Messina e Francesco Laurana. Grande successo di visitatori per le tre opere – due sculture e un dipinto tra i simboli dell’arte italiana – che danno vita alla mostra ospitata nelle due sale al pianterreno del Museo archeologico regionale “Gabriele Judica” di Palazzo Cappellani, nel centro storico di Palazzolo. Un’esposizione di levatura straordinaria che diviene un viaggio nella bellezza, nella religiosità più intima e nella maestria di un pittore e di uno scultore messi a confronto per un “nuovo” Rinascimento isolano.

Un progetto curato dalla Soprintendente ai beni culturali di Siracusa, Rosalba Panvini, e ideato insieme con Gioacchino Barbera già direttore del museo regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Un evento realizzato grazie alla sinergia con le istituzioni che regala ai visitatori uno spettacolo di delicata intensità: insieme l’Annunciazione di Antonello da Messina e le due Madonne col bambino di Francesco Laurana.

Ed è proprio la delicatezza delle opere scultoree di Francesco Laurana ad incantare i visitatori subito dopo aver ammirato il capolavoro di Antonello da Messina, esposto in una sala interamente ad esso dedicata.

Le due statue in prezioso marmo bianco provengono da due chiese: la Madonna con il bambino (o Madonna della Neve) dalla chiesa del Ss. Crocifisso di Noto, edificio barocco firmato da Rosario Gagliardi che troneggia nel quartiere Piano Alto della cittadina netina; la seconda Madonna con il bambino proviene dalla chiesa dell’Immacolata di Palazzolo Acreide. Ammirare insieme, l’una accanto all’altra, questi due capolavori significa leggerne l’evoluzione stilistica, comprendere la grandezza artistica di Laurana e il suo significato nella storia del Rinascimento.

“Le opere di Francesco Laurana celebrano un nuovo linguaggio rinascimentale che in Sicilia ha regalato capolavori come, appunto, le due Madonne esposte insieme nella mostra di Palazzolo Acreide – commenta la curatrice dell’esposizione, Rosalba Panvini, soprintendente ai Beni culturali e ambientali di Siracusa – Entrambe provengono da due chiese e custodiscono in sé storia e arte. La Madonna con il Bambino di Noto, meglio conosciuta come Madonna della Neve, è l’unica tra le opere di Francesco Laurana ad essere firmata e datata e, pertanto, rappresenta un punto fondamentale sia nell’ordinamento cronologico della produzione dell’artista dalmata, sia per lo studio dell’evoluzione del suo linguaggio artistico. L’opera fu realizzata dopo le prime Madonne col Bambino eseguite in Sicilia, che ancora risentono delle recenti esperienze stilistiche tardo-gotiche napoletane e provenzali. La prima delle sculture con l’iconografia della Madonna con il Bambino è quella del Duomo di Palermo, databile al 1463, realizzata in origine per la chiesa Madre di Monte San Giuliano (Erice) e poi trattenuta a Palermo. Esse precedono la serie dei celebri busti-ritratto femminili, in cui l’artista raggiunge il traguardo di una compiuta idealizzazione pierfrancescana, e la cui massima espressione possono essere considerati sia il busto di Eleonora d’Aragona di Palazzo Abatellis a Palermo sia quello di Battista Sforza del Museo del Bargello a Firenze. Ma già il perfetto ovale del volto di questa Madonna, dai tratti leggeri che descrivono con straordinaria eleganza i dettagli fisionomici e il velo sull’alta fronte, e l’ideale colonna cilindrica entro cui è scolpito il gruppo dei due personaggi, senza più accenni al tipico hanchement dei modelli d’Oltralpe, testimoniano che l’artista aveva sperimentato nuovi studi per un diverso e più maturo linguaggio artistico. Non può essere escluso che questi studi possano essere stati influenzati probabilmente da rapporti con Antonello da Messina”.

L’opera venne probabilmente commissionata da Pietro Speciale, signore di Alcamo e Calatafimi e pretore di Palermo, per il quale Francesco Laurana aveva già realizzato un proprio ritratto a mezzo busto, nel l469. Si compone di due pezzi di marmo, quello del gruppo a tuttotondo e quello della base ottagonale, lo scannello, la cui cornice superiore decorata da dentelli è, però, pertinente al pezzo di marmo superiore. La base è scandita da riquadri: in quelli anteriori vi sono le scene dell’Annunciazione, della Natività e della Presentazione al Tempio; in quelli laterali, due angeli reggono lo scudo con lo stemma di Noto, mentre in quelli posteriori, due festoni verticali in stile classicheggiante e il Crocifisso sul Monte Calvario con i simboli della Passione, all’interno di un elegante cerchio formato dalla filza di grani del Rosario.

Proviene da Palazzolo invece La Madonna con il Bambino, meglio nota come Madonna della Grazia, seppure stilisticamente vicina alla statua di Noto con identica iconografia, non si hanno, purtroppo, documenti utili ad indicare la sua datazione. Uno dei due stemmi posti ai lati della base, le sei palle in due file degli Alagona, indica che l’opera fu commissionata dai baroni di Palazzolo Acreide per la locale Chiesa dell’Immacolata, forse nel 1471 o il 1472.

“Rispetto agli altri esemplari di simile tipologia scolpiti dal Maestro Laurana – prosegue la prof.ssa Rosalba Panvini – questa statua è l’unica in cui il manto della Vergine è trattenuto sul petto da una spilla, mentre negli altri esso scende lungo il corpo; questo elemento determina un raffinato movimento sulla superficie piatta della veste, esaltato peraltro dalla levigatezza del volto che sembra emanare una luce particolare sui due soggetti rappresentati. Peraltro, in questa Madonna con il Bambino Francesco Laurana raggiunge, attraverso l’idealizzazione della forma, la massima sintesi tra plasticità rinascimentale italiana e la cortigiana eleganza delle precedenti esperienze gotiche provenzali. Infine un cenno allo scannello, ben diverso rispetto all’esemplare netino, non essendo ripartito da in riquadri; infatti, la raffigurazione della Dormitio Virginis si dispone sulla parte anteriore quasi annullando la forma ottagonale ed evocando, almeno nella visione frontale, quella cilindrica della sovrastante figura. Ai lati, i due stemmi già ricordati, mentre la parte posteriore è piatta. L’opera conserva tracce della policromia originale ed è composta di tre parti di marmo, uno per il gruppo delle figure e due, sovrapposti, per la base”.

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