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Le procure distrettuali antimafia indagano sui connubi tra uomini politici e mafiosi ma anche sui patrimoni accumulati illegalmente

I pubblici ministeri delle Procure della Repubblica in Sicilia hanno iniziato a studiare una miriade di fascicoli giudiziari; sono nella buona sostanza alla ricerca di possibili collusioni di uomini politici con elementi appartenenti alla mafia che, in caso positivo, potrebbero servire a “spogliare” dei propri beni i politici ladri, collusi.
Battistrada della prima inchiesta principe per la territorialità a vasto raggio fu il procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Palermo, Bernardo Petralia, che coordinava già anche il gruppo Misure di prevenzione. L’attenzione giudiziaria parte dai vecchi fascicoli, tutti quelli sfociati in sentenze di condanna, ma anche delle tante archiviazioni e delle prescrizioni, in considerazione come spesso accade quando le prove non sono tali da sfociare in una condanna penale e quindi non possono bastare per fare scattare sequestri e confische. Infatti, in questa logica già a suo tempo nella prima inchiesta, lo stesso Petralia, e le facenti funzioni di procuratore, Leonardo Agueci, sono stati promotori di un’azione di coordinamento con diversi questori dell’Isola e le varie Direzioni Distrettuali Antimafia, per favorire lo scambio d’informazioni per coordinare al meglio il lavoro. Le indagini partirono dal capoluogo per estendersi in tutto il territorio siciliano e anche oltre lo Stretto.
Al vaglio della magistratura inquirente, quasi tutti i passaggi investigativi contenuti in recenti ordinanze e informative, e se i processi sono già chiusi, c’è ancora la possibilità di aprire un nuovo canale investigativo, dove appare certo che per le inchieste in corso e i procedimenti penali e patrimoniali, viaggeranno insieme. Il rapporto fra mafia e politica è tornato ad essere centrale nel lavoro delle Procure di tutta la Sicilia e in parte del resto d’Italia, alla luce anche di tanti nuovi episodi, che sono al vaglio degli inquirenti, dove non ci sono solo gli uomini della politica che si sono ritagliati un posto di primo piano nel panorama siciliano e nazionale, ma anche una pletora di piccoli amministratori che hanno sfruttato connivenze e contiguità in generale, e dove c’è un minimo segno di delinquenza organizzata per fare affari attraverso i lavori pubblici, servizi in concessione per far soldi a iosa. E non ci deve essere per forza la mafia o la delinquenza organizzata, o semplicemente comune di mezzo, ma andare avanti e verificare lo stato patrimoniale del periodo antecedente, la data dell’inizio della carriera politica e l’attuale situazione di ricchezza, compresa quella dei familiari, o con la sproporzione fra quanto si è dichiarato al fisco e il tenore di vita mantenuto.
Lo sconfinamento tra lecito e illecito, quindi le origini dall’attività politica di chi ha iniziato la propria carriera in qualità di semplice consigliere comunale o provinciale per poi passare alla fase successiva di assessore, sindaco, presidente dell’ente provincia, o in una carica di sottogoverno dove il “maneggio” di soldi pubblici è assicurato, e l’attuale ricchezza patrimoniale. Vi è di certo del marcio se prima da semplice impiegato o libero professionista si era possessori di un patrimonio dal valore tre e oggi si è possessore di diecimila; nel caso si deve ricercare la causa dell’arricchimento, da dove sono arrivati i milioni e in quale carica e funzione pubblica si è amministrato il denaro del popolo. Tanti i casi di uomini scoperti con le mani nel sacco che hanno dichiarato di essersi arricchiti con la vincita al totocalcio con la schedina del tredici, all’enalotto, compreso chi la propria moglie si era messa nel campo della prostituzione di lusso, a fare la ragazza squillo e via dicendo. È una anche una parte della storia politica della nostra onesta e babba Siracusa.
L’analisi nel nostro piccolo territorio siracusano è presto fatta: tutti si conoscono, compreso la vita, la morte e i miracoli di tutti gli uomini impegnati politicamente; chi era impiegato e dopo tanti anni di politica è diventato ricco sfondato, allora non ci sono preamboli di sorta: “Gatta ci cova”. Tutto quadra e tutto si snoda attraverso il percorso politico, dove si è gestito il potere, il governo della cosa pubblica con tanti soldi; ciò vuole segnare una netta distinzione tra chi ha fatto i quattrini in connubio con la mafia e chi invece è diventato ricco attraverso altri canali, dove non necessariamente occorre il titolo di “mafioso” per essere disonesto, truffaldino, ladro della cosa pubblica, o in connubio con chi amministra il denaro pubblico attraverso il controllo degli appalti, il rilascio di licenze, la concessione di servizi e via dicendo. Del resto, i soldi non erano suoi prima di averli rubati, quindi è giusto che la magistratura indaghi a fondo e in caso di ritrovamento di beni acquistati con il pubblico denaro rubato gli siano confiscati alla stessa stregua di chi si è accordato con la mafia. La sostanza non cambia, quello che cambia è solamente la forma.
Concetto Alota

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