Sicilia, regno dell’invidia e dell’astuzia, ma a Siracusa…
Gli invidiosi sono dei senza Dio, senza colpa e senza carattere. L’invidia non è un peccato, ma uno stato d’animo del fallimento personale, dove l’uomo colpito potrebbe liberarsene dichiarandosi colpevole, e riconoscendo così la propria pochezza di spirito e d’animo, la colpa dell’inferiorità interiore, e coerentemente potrebbe “disinfettarsi”. L’invidioso è un uomo senza Dio, ma anche senza colpa; perciò senza perdono, dove l’inganno e il delirio si uniscono in un solo sentimento doloroso e riprovevole. L’invidia è, di fatto, odio. Appare chiaro che è un’emozione spesso accostata al concetto di rancore e può rivestire anche aspetti diversi nella nuova società del consumismo sfrenato ed è pensabile solamente nelle sub culture di bassa stratificazione ambientale; non è connesso, quindi, al requisito di cultura immagazzinata, ma all’acculturamento, dove si è vissuti da fanciulli. È un segno dell’amarezza, della frustrazione, dove affiorano dal volto e dalla postura i sintomi della malignità recondita dell’anima; l’invidioso avverte nella sua sorda rivoluzione il fallimento del suo carattere nel mondo, dove vive, ma non reagisce, rimane inerme, abulico, nel suo “fantastico fallimento”, nell’obblio dell’anima.
La condizione d’infelicità anima molte coscienze e la inserisce in un ragionamento molto più blando, non compiuto, fallito. L’invidia è una delle più forti cause d’infelicità; la passione umana più deprecabile che rende infelice chi è colpito senza saperlo. La società odierna si affligge perché è incapace di reagire ai fenomeni maligni, avvilenti, e inevitabilmente ci porta a irritarci se altri hanno doti migliori delle nostre e riescono meglio nelle loro attività, nella vita di tutti i giorni; ma nessuno si chiede a quali sacrifici, impegno e studio si è devoti per raggiungere i traguardi prefissati. Nella semplicità degli altri si annida l’invidia; è il trionfo dell’altro nella ricchezza, nel successo, nell’intelligenza, nella bellezza e la forza fisica e tutto il resto.
Scipio di Castro, poeta e scrittore italiano di cose politiche – citato tra gli altri da Leonardo Sciascia , “Sicilia e sicilitudine” – sui siciliani, per rimanere a casa nostra, scrive che sono generalmente più astuti che prudenti, più acuti che sinceri, amano le novità, sono litigiosi, adulatori e per natura invidiosi; sottili critici delle azioni dei governanti, ritengono sia facile realizzare tutto quello che loro dicono e farebbero se fossero al posto dei governanti. D’altra parte, sono obbedienti alla Giustizia, fedeli al Re e sempre pronti ad aiutarlo, affezionati ai forestieri e pieni di riguardi nello stabilirsi delle amicizie. La loro natura è fatta di due estremi: sono sommamente timidi e sommamente temerari. Timidi quando trattano i loro affari, poiché sono molto attaccati ai propri interessi e per portarli a buon fine si trasformano come tanti Protei, si sottomettono a chiunque può agevolarli e diventano a tal punto servili che sembrano nati per servire. Ma sono d’incredibile temerarietà quando maneggiano la cosa pubblica e allora agiscono in tutt’altro modo. Ma a Siracusa c’è di peggio…
Ogni riferimento a persone, cose e/o circostanze, è puramente casuale.
Concetto Alota