Palermo, la verità del golpe Borghese dietro il giallo De Mauro
Esclusivo. Inchiesta pubblicata sul settimanale 109-press il 16 febbraio del 2017
di Concetto Alota
Palermo.
Il giornalista Mauro De Mauro fu assassinato perché stava per svelare il Golpe Borghese. Aveva scoperto che i boss della Cupola mafiosa erano in connubio con gli organizzatori del programmato colpo di Stato che lui stesso aveva annotato sul suo brogliaccio dopo averlo appreso da qualcuno, trascritto poi a macchina su un foglio per appunti del “capo redattore dell’Ora”, dove è scritto anche: “…idem Mattei e altre cose interessanti su ricerche e articoli, come pure “si suppone riguardino il colloquio con l’avvocato Vito Guarrasi col quale parlò del carattere di Mattei”. La decisione di eliminarlo trova l’occasione anche per saldare i conti dei tanti vecchi rancori dei capi mandamento della mafia per le tante e scomode inchieste scritte sul “Sacco di Palermo”, del traffico della droga e in altri fatti, ruberie e inganni, di Cosa Nostra in connubio con certa politica. De Mauro fu tradito da chi gli aveva confidato della preparazione dello scoop che avrebbe sconvolto l’Italia. Una donna bionda sarebbe stata la spia della mafia o dei servizi segreti che appare e scompare nell’ultimo mese della sua vita.
Tesi e movente.
Polizia e carabinieri iniziarono a indagare in lungo e in largo. A questa tesi, con qualche variante che si allarga poi a ventaglio nel tempo, crede fin dal primo momento della scomparsa di De Mauro il capitano dei carabinieri, Giuseppe Russo (assassinato dalla mafia alla Ficuzza il 20 agosto del 1977 con il grado di colonnello) che indaga a fondo. Chi scrive incrocia più volte l’ufficiale dell’Arma. Nel 1971 un amico comune ci presentò in un incontro casuale. Presi la palla al balzo e gli chiesi a che punto erano le indagini sulle tante ipotesi della scomparsa di De Mauro; la risposta fu una risatina e fu lui a fare delle domande a me, ma qualcosa trapelò lo stesso. Pubblicai un articolo nel periodico l’Eco di Sicilia il 9 maggio del 1971: “Vagliamo tutte le ipotesi sulla scomparsa di De Mauro”. Tra le tante c’era la verità. Nasce un rapporto di stima e ogni volta che mi trovavo a Palermo andavo a trovarlo al comando provinciale. Peccato che il colonnello Russo non ci fosse più, quando il pentito di mafia, Rosario Naimo, nel 2011 conferma questa ipotesi sulla fine di De Mauro, e racconta la sua versione dei fatti: “Su ordine di Totò Riina lo prelevarono sotto casa e lo buttarono in un pozzo nel fondo “Patti” di proprietà della famiglia Madonia, dove ad attenderlo c’era anche Totò Riina. Fu ucciso perché scriveva di Cosa Nostra”. Fu questo il commento generale.
Quella donna scomparsa nel nulla.
Nell’ipotesi storica della morte di Enrico Mattei, entrano a forza i nomi di Graziano Verzotto e di Vito Guarrasi. I sospetti che De Mauro aveva scoperto qualcosa di grave nei rapporti tra mafia e politica entrano nella logica del capitano Giuseppe Russo che scruta anche tutte le altre piste: lo spaccio della droga, i rapporti tra mafia e politica, il golpe Borghese e il caso Mattei. Per i carabinieri, Graziano Verzotto e Vito Guarrasi sono tra i sospettati che conoscono la verità sulla scomparsa e degli aspetti segreti della fine di De Mauro sia nel caso Mattei sia nel Golpe Borghese. Ma nelle indagini del colonnello Russo, che indaga sotto il coordinamento del colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, entra a forza una donna apparsa all’improvviso che si sarebbe avvicinata a De Mauro per sapere fin dove voleva arrivare e quanto sapesse. Furono viste insieme a parlare tante volte. Il capitano Russo cercò a lungo quella signora sui trent’anni distinta, alta, bionda e bella, somigliante all’attrice Marina Vlady. Secondo la ricostruzione dell’ufficiale dell’Arma la sua presenza a Palermo durò di poco più di un mese, ma sempre molto discreta. Un “fantasma” che scompare all’improvviso poche settimane prima del rapimento-omicida di De Mauro. I sospetti si poggiarono sulla possibilità che quella donna poteva essere un’inviata “speciale” della mafia o dei servizi segreti per scoprire che cosa sapeva e cosa stava preparando De Mauro, dopo le voci che giravano in certi ambienti della politica e di Cosa Nostra, preoccupati dei possibili sviluppi, così come dai servizi segreti.
Il capitano Russo dopo circa sei mesi dall’ultimo incontro, mi disse che aveva trovato le tracce della donna che finivano all’aeroporto di Palermo ma nulla si scoprì sulla sua identità, né dove fosse finita.
Una leggerezza. Una fiducia azzardata che avrebbe intrappolato De Mauro nel suo stesso gioco che lo conduce alla fine della sua vita dentro un pozzo-tomba nella tenuta di Madonia nella Zona di Pallavicino a Palermo. Secondo i racconti dei pentiti, la decisione di eliminarlo fu assunta dopo un “consulto romano”; così come la decisione di “abortire” il Golpe Borghese programmato per l’8 dicembre del 1970. Una vicenda piena di depistaggi e di pentiti pilotati. A questo punto arrivati la mafia e i servizi segreti avevano lo stesso interesse: fermare De Mauro.
La conferma.
“ Mauro De Mauro fu ucciso perché aveva scoperto che il principe Junio Valerio Borghese e la mafia si erano alleati per il golpe… il giornalista si fece scappare qualcosa con qualcuno o con uno dei tanti personaggi di varie estrazioni, così come tanti boss che allora frequentavano il Circolo della Stampa dentro il teatro Massimo”. Questo ricordo fu raccontato ai procuratori palermitani da Francesco Di Carlo, il padrino di Altofonte che è in qualche modo invischiato anche nella misteriosa morte del banchiere Roberto Calvi e che decise di vuotare il sacco. Di Carlo ha fatto i nomi dei mandanti dell’uccisione di Mauro De Mauro. E anche quelli degli assassini. C’era anche Bernardo Provenzano quella sera in via delle Magnolie. I ricordi di Francesco Di Carlo sono molto nitidi: “Quando Emanuele D’Agostino seppe al Circolo della Stampa che De Mauro era a conoscenza del golpe, raccontò tutto a Stefano Bontade che era il suo capo. Stefano avvertì gli altri boss della Commissione, tra cui Giuseppe Di Cristina di Riesi e Pippo Calderone di Catania. Tutti volarono subito a Roma insieme con uno che chiamavano “l’avvocato”, non esercitava la professione ma era laureato… Andarono nella capitale per parlare con il principe Borghese e con un certo Miceli (forse il generale Vito Miceli), capo del Sid, Servizio informazioni difesa, e con un certo Maletti (forse il generale Gianadelio Maletti), capo dell’ufficio “D” del Sid”.
“Nella capitale, generali e mafiosi – continua il racconto di Di Carlo – s’incontrarono, parlarono per ore, cercarono di saperne di più su che cosa avesse scoperto De Mauro e convennero che era troppo pericoloso per tanti di loro tenere in circolazione “quel dì”. A quel punto, era chiaro a tutti i presenti quale sarebbe stato il passo successivo dell’affare”. Di Carlo svela ancora chi decise di uccidere il giornalista: “Da Roma partì subito l’ordine di chiudergli la bocca… I miei amici mafiosi, quando ritornarono a Palermo, mi raccontarono che quella gente era molto preoccupata, mi dissero che avevano paura, che se fosse uscita anche la più piccola delle notizie sull’operazione che stavano preparando, loro sarebbero stati tutti arrestati… ”.
Nel suo brogliaccio di memoria De Mauro, oltre al caso Mattei che aveva già trattato nel 1962, c’era annotato in alto a destra: “Colpo di Stato”. Ma nessuno degli inquirenti e degli investigatori che indagavano sulla sua morte e inseguivano il suo fantasma si soffermò su quell’indizio. Nel 1971 il capitano dei carabinieri, Giuseppe Russo aveva cercato nuovi elementi per capire e scoprire qualcosa in più su delle indiscrezioni trapelate dagli ambienti mafiosi. Indagò a fondo. De Mauro aveva annotato quelle tre parole, “Colpo di Stato”, subito dopo un incontro con chi al tempo era considerato l’uomo più potente e inquietante di tutta la Sicilia denominato Mister X, Vito Guarrasi morto nel 1999; era stato la testa di ponte fra la mafia e gli anglo americani per lo sbarco sull’isola nel 1943, così come nella firma dell’Armistizio di Cassibile, dove è presente. “De Mauro era un cadavere che camminava. Già nel 1962 Cosa Nostra era stata costretta a perdonarlo; la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima buona occasione avrebbe pagato. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente rinviata”. Così disse Tommaso Buscetta davanti a Falcone e Borsellino a 15anni dalla morte di De Mauro.
I mille depistaggi e il processo.
Dopo i tanti depistaggi, il sostituto procuratore Antonio Ingroia ha riaperto il caso, individuato gli assassini di De Mauro e portato a giudizio come mandante Salvatore Riina. De Mauro è condannato a morte dai boss. Sapeva del colpo di Stato che l’ex comandante della Decima Mas, il principe Junio Valerio Borghese, stava preparando; era il suo capo di una volta, quando De Mauro in gioventù era un “repubblichino”. Ma ora il comandante Borghese, stava organizzando il “Golpe dell’Immacolata” contro la Repubblica Italiana programmato per l’8 dicembre del 1970, che fallisce proprio per il suo intervento. Ma anche i servizi segreti avevano scoperto il piano eversivo (forse la donna scomparsa che aveva avvicinato De Mauro era un agente). Al colpo di Stato, organizzato sotto la sigla del Fronte Nazionale in stretto rapporto con Avanguardia nazionale, avevano aderito anche alcuni fascisti palermitani ed erano coinvolti anche i boss emergenti di Cosa Nostra; il braccio armato della Cupola mafiosa. Di quel piano era a conoscenza Mister X, Vito Guarrasi. Parlò lui del Golpe con Mauro De Mauro? Ma Guarrasi era intoccabile.
Il collaborante di giustizia Rosario Naimo, l’uomo che rappresentava Totò Riina negli Stati Uniti, fu arrestato nell’ottobre 2010. Dopo il pentimento ha raccontato, prima ai magistrati inquirenti, Sergio Demontis e Antonio Ingroia, e dopo confermato ai giudici della Corte d’Assise sul processo a Totò Riina proprio sulla scomparsa di De Mauro, di avere appreso i particolari sul delitto nel 1972 da Emanuele D’Agostino, un piccolo mafioso palermitano. Rosario Naimo racconta che Emanuele D’Agostino (uno dei sicari di De Mauro) in un incontro nel mese di settembre del 1972 in un ristorante vicino la stazione centrale, gli disse, spavaldo e baldanzoso. “Io sono quello che ha preso De Mauro e poi ho fatto pure la strage di viale Lazio”. L’intero racconto si trova nel fascicolo del processo. “Quella sera, sotto casa sua, al giornalista lo chiamarono con un altro nome”. D’agostino gli disse: “Lei ha insultato mia moglie, come si è permesso”. I due salirono sulla macchina di De Mauro. Lui ripeteva: “Io sono Mauro De Mauro, state sbagliando persona”. Ma loro misero in moto e partirono normalmente. “Adesso andiamo da mia moglie e vediamo se non sei tu. De Mauro gridava che c’era stato uno scambio di persona”. Dice ancora Naimo, il pozzo, che diventò la tomba di De Mauro, “fu ripulito pochi anni dopo su ordine di Madonia, proprietà che si trova non poco lontano nella Zona di Pallavicino, dove il boss teneva un allevamento di polli”.
I vecchi rancori della mafia su De Mauro.
Sono firmate da Mauro De Mauro molte delle inchieste più pericolose di quegli anni: il traffico degli stupefacenti, il “sacco edilizio” di Palermo; ma anche sulle contiguità fra mafia e politica. Fu De Mauro il primo a pubblicare nel 1962 l’organigramma di Cosa Nostra, decine, famiglie, mandamenti compresa la stessa mappa-organigramma che ventidue anni dopo rivelerà il pentito Tommaso Buscetta al giudice Falcone. Uno scoop dopo l’altro fino a quelle notizie ancora da pubblicare che furono la causa principedella sua morte: il Golpe Borghese, ma forse di riflesso indotto anche il Caso Mattei. Ma De Mauro si era confidato con qualcuno, o più di uno, che lo tradì. Fu Leonardo Sciascia a spiegare con una sola frase perché era morto Mauro De Mauro: “Ha detto la cosa giusta all’uomo sbagliato e la cosa sbagliata all’uomo giusto”.
Il rapimento e l’ultimo viaggio verso la morte.
La sera del 16 settembre 1970 verso le ventuno, Mauro De Mauro rientra a casa alla guida della sua BMW e si ferma al numero 58 di viale delle Magnolie in uno di quei tanti quartieri della nuova Palermo. Guardò verso l’ingresso di casa, dove c’è la figlia Franca in compagnia del fidanzato, ma anche loro avevano visto De Mauro. I due decidono di lasciare aperto il portone del condominio e si dirigono verso l’ascensore. Aspettano che De Mauro avrà parcheggiato l’auto per salire tutti insiemi per la cena. L’ascensore arriva, ma del padre nemmeno l’ombra. Dalla strada si sente una voce, con forte accento siciliano: “Amuninne”. Pochi attimi dopo la Bmw di De Mauro è già lontana e in Viale delle Magnolie rimane il silenzio della sera. La figlia incuriosita si dirige in strada, ma è già troppo tardi. L’automobile del padre è scomparsa senza lasciare traccia.
Passano le ore e De Mauro non rientra in casa. L’ansia inizia a crescere. Iniziano le prime telefonate. Alla redazione del giornale, agli amici giornalisti, al pronto soccorso. Scattano le indagini. La Polizia ritroverà parcheggiata la Bmw in pieno centro. Ma di De Mauro non vi è traccia.
L’ultimo incontro con Verzotto. Il 14 settembre 1970 De Mauro e Verzotto s’incontrarono per l’ultima volta. Una data ricordata dalla moglie Elda Barberi e confermata da Graziano Verzotto che, nonostante le amnesie in seduta dibattimentale, probabilmente dovute alla malattia, ha comunque confermato tutte le dichiarazioni rese negli interrogatori e nei dibattimenti degli anni passati. “Sono dichiarazioni firmate, quindi per me quelle hanno valore”. Il pm Altobelli e l’avvocato Crescimanno così hanno aiutato a ricostruire i fatti che precedettero la scomparsa del giornalista de “L’Ora” in quell’autunno del 1970, grazie all’aiuto di diverse deposizioni risalenti al passato. Da queste emerge che non era il primo incontro che i due avevano a quel tempo. “Con De Mauro c’erano dei buoni rapporti – ricorda Verzotto – qualche volta faceva anche dei lavori per conto dell’Ente, dei servizi naturalmente retribuiti. Ci vedevamo per quelli, poi mi raccontò del lavoro che gli chiese Rosi. Mi lesse i suoi appunti, vi era la stesura di un testo sotto forma di dialogo. Ci confrontavamo e mi chiese aiuto per avere maggiori informazioni. Io feci due nomi. Quello dell’avvocato Vito Guarrasi, che non sapevo non facesse più parte dell’Anic Gela, e del presidente D’Angelo. Il secondo negò sempre l’intervista, mentre il primo lo incontrò ma poi si lamentò con me perché gli avevo mandato un giornalista, a suo dire, un uomo “pericolosissimo”. Non amava molto la stampa e diceva che era meglio restare in silenzio e aspettare che arrivasse chi di dovere. Dell’incontro con Guarrasi De Mauro non fu molto soddisfatto”. Un dato importante che emerge dal dibattimento è il possesso da parte di De Mauro del nastro contenente l’ultimo discorso di Mattei a Gagliano: “De Mauro me lo mostrò dopo esser tornato da Gagliano dove fu mandato a prendere notizie dal proprio giornale – ricorda Verzotto nelle dichiarazioni rese l’8 novembre 1995. Il nastro fu poi inviato alla segreteria dell’Eni”. Che sia questo il famoso nastro che il giornalista de “L’Ora” ascoltava e riascoltava in casa, come ricordato dalla propria famiglia?
La storia e il destino. Quegli appunti per la sceneggiatura per girare il film sul Caso Mattei commissionata a De Mauro dal regista Franco Rosi erano stati inseriti in una busta gialla, che in molti ricordano di avere notato tra le mani di De Mauro fino al giorno stesso della scomparsa. Ed è in quella busta gialla, scomparsa, che è contenuta parte della verità sull’omicidio di Mattei. Scrivono i giudici al processo. “La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare, quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè”. E poi ancora: “Nella sceneggiatura approntata dovevano essere contenuti gli elementi salienti che ritenevano di avere scoperto a conforto dell’ipotesi dell’attentato. Bisognava agire al più presto prima che i contenuti di quella busta potessero andare a finire a conoscenza di Francesco Rosi e diventassero così di pubblico dominio”. Ma qualcosa non quadra ancora.
La misteriosa busta gialla e Verzotto. Ma c’è dell’altro e riguarda proprio la sparizione della busta gialla. Secondo i giudici De Mauro l’avrebbe data allo stesso Verzotto. Il 14 settembre 1970, nei locali dell’Ems in via del Fante, De Mauro e l’ex senatore avrebbero proprio concordato la consegna del “copione”, ormai concluso, perché proprio Verzotto si sarebbe offerto di dare una mano per la sistemazione finale, prestandosi a fare da “corriere” portandolo a Roma a Rosi. De Mauro e Verzotto erano in buoni rapporti parlarono di certo anche del Golpe Borghese, che era il fatto più pericoloso tra i due e la dimostrazione è nell’appunto che De Mauro scrive: “Colpo di Stato”. Il Caso Mattei era un fatto già chiuso con il racconto di De Mauro, in base alle ricerche che aveva fatto già nel 1962, e in parte ricercate, oltre a quelle dettate nel mese di settembre del 1970 dallo stesso Verzotto. Quest’ultimo conosceva bene momenti salienti di Mattei in Sicilia che aveva raccontato a De Mauro, quindi sapeva bene cosa conteneva la lettera indirizzata a Rosi nella busta gialla che doveva essere portata a Roma proprio da Verzotto, che avrebbe potuto aprirla benissimo durante il viaggio, richiuderla o farla sparire se qualcosa non gli garbava. L’altro aspetto, sposa la tesi del doppio coinvolgimento della mafia: sia nel Golpe Borghese, sia nel Caso Mattei e trova la logica nella paura che entrambi i fatti possano, o solo quello del Golpe in programma a dicembre, alla fine, essere svelato.
I depistaggi e i misteri. Nell’aprile del 2006 inizia il processo per l’omicidio di Mauro De Mauro che vede come unico imputato Totò Riina e il 22 aprile 2011 è chiesto l’ergastolo, l’assoluzione però arriva il 10 giugno 2011 per “incompletezza della prova” dalla Corte d’Assise di Palermo.
Dopo anni dall’assassinio di Mauro De Mauro, il 4 giugno 2015, la I Sezione Penale della Cassazione ha confermato l’assoluzione di Totò Riina dall’accusa nel processo perl’omicidio del cronista dell’Ora Mauro De Mauro e mette la parola fine al processo. Restano agli atti pesanti collegamenti con la morte del presidente dell’Eni, su cui la vittima indagava per conto di Francesco Rosi, e la scoperta del programmato Golpe Borghese. Il ruolo di Vito Guarrasi, alias Mister x, di Graziano Verzotto, di pezzi deviati dei servizi segreti, ma anche di tanti attori e figuranti, è certo. Era questo lo scoop annunciato agli amici più intimi da De Mauro che avrebbe dovuto “far tremare l’Italia” e che invece portò alla sua morte. Ad assistere alla lettura del dispositivo, la figlia di De Mauro, Franca. Il suo matrimonio era previsto all’indomani del rapimento del padre, il cui corpo non è mai stato trovato. “E’ una vergogna di 41 anni”, è il commento della figlia, che si dice “molto turbata per questa conclusione”.