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Siracusa. Il barbaro delitto di Elvira Leone: una busta infilata in testa e colpi violenti sul cranio

Il Pm Antonio Nicastro titolare dell’inchiesta

Le tappe dell’omicidio della professoressa Elvira Leone. Il 3 aprile del 2014 viene trovato riverso a terra nel soggiorno del suo appartamento al sesto Piano della centralissima Piazza della Repubblica il corpo dell’insegnante in pensione del Nautico di Siracusa, Elvira Leone: l’autopsia conferma che la donna è stata uccisa con un oggetto metallico contundente che l’ha colpita ripetutamente alla testa, dopo avergli infilato un sacchetto di plastica in testa e stretto al collo il filo elettrico di un grosso porta lampada poggiato su un mobile e presente nel luogo del delitto. Dal testamento reso pubblico dal Pm titolare dell’inchiesta, Antonio Nicastro, si scopre che la donna ha lascito tutti i suoi averi alla Fondazione S.Angela Merici, che assiste ammalati nello stato di malattie con patologie particolari, sia di bimbi in situazioni di disagio generale.

Il luogo del delitto nel palazzo di Piazza della Repubblica

Saltano fuori delle lettere e delle testimonianze sui timori che la donna nutriva per la sua incolumità, ma anche sulla sua particolare mania di comprare mobili oggetti antichi di valore nei mercatini, così come in negozi d’antiquariato. Il sospetto. Dalle riprese delle telecamere s’intravede la figura di un uomo che si allontana trafelato dall’appartamento dell’insegnante a bordo di un fuoristrada scuro, posteggiato nelle vicinanze; fatti confermati dai vicini di casa. L’uomo conosceva di certo l’insegnante e potrebbe essere l’autore dell’omicidio, le cui motivazioni vanno rintracciate, sia nel lascito testamentario, così come nella sua fortissima passione per i mobili antichi.

Poco tempo fa, il sostituto procuratore della Procura di Siracusa Antonio Nicastro ha fatto appello alla trasmissione “Chi l’ha visto?” (insieme alla pubblicazione all’identikit dell’assassino in copertina) per porre l’attenzione generale sul giallo ancora insoluto dell’omicidio della professoressa Elvira Leone. Nella puntata della popolare trasmissione di Raitre, è stato fatto il punto delle indagini e, soprattutto, lanciati dei chiari messaggi verso chi possa dare un serio contributo allo sviluppo dell’inchiesta che al momento è ferma alle ultime azioni dei carabinieri del Ris di Messina su un sopralluogo in una villetta di contrada Arenella.
“Da quel 3 aprile 2014, giorno in cui è stata riscontrata la morte della donna – dichiarò il pm Antonio Nicastro – non ci siamo mai fermati nelle ricerche dell’assassino della professoressa Leone. Chiunque sappia qualcosa deve rivolgersi ai carabinieri in modo da ricostruire ogni piccolo tassello mancante”.

All’attenzione che la procura ha voluto mettere in evidenza, ci sono il filmato tratto dalle telecamere di piazza della Repubblica, in cui si vede uno sconosciuto che sparisce nella notte. Il 27 marzo, giorno dell’omicidio, alle 18.33 un uomo entra tenendo qualcosa di bianco in mano. Alle 23.14 esce dal portone del palazzo in cui abitava la docente con un borsone che sembra essere pieno. Poi rientra nel palazzo e poco dopo ne esce con un’altra borsa che carica su un Suv, Jeep Cherokee di colore nero e si allontana verso via Tevere. Ma dalle immagini è impossibile vedere il volto e la targa del Suv. Automobile che nessuno dei condomini conosce. “O è l’assassino o è qualcuno non c’entra nulla – dice il Pm Antonio Nicastro – Se è questa seconda ipotesi, si faccia vivo e ci sveli la sua identità. Chi lo rivede si rivolga ai carabinieri”. Fu  stato diffuso l’identikit del potenziale assassino, realizzato dai carabinieri. Il domestico della vittima ha raccontato che sette giorni prima dell’omicidio, intorno alle ore 13, la professoressa Leone aveva ricevuto la visita di uno sconosciuto, ospitato nel salone. Il giovane sembrava interessato a guardarsi intorno e non ai ricami preziosi mostrati dalla vittima. Nessuna sulle telecamere della videosorveglianza.
L’elemento principe è il Dna estratto da una goccia di sudore mischiato al sangue della donna in un asciugamano, ma la parallela comparazione con numerose persone non ha dato alcun esito. La vittima conosceva di certo il suo aguzzino. Era prudente. Non avrebbe mai aperto ad uno sconosciuto. 

Si trattò di omicidio. Era questa la sintesi del responso dell’autopsia eseguita dal medico legale, Francesco Coco, sul corpo di Elvira Leone, la professoressa, ex insegnante di geografia astronomica del Nautico, rinvenuta morta nel suo appartamento situato al sesto piano del palazzo di piazza della Repubblica nel centro di Siracusa. Era conosciuta dai vicini come una donna benestante e distinta e che viveva da sola dopo la scomparsa dei genitori. Subito dopo il ritrovamento del cadavere, s’ipotizzò una rapina finita male, come se la donna rientrando in casa scoprì i ladri con la conseguente logica dinamica; ma la scoperta della feroce violenza nell’uccidere una donna che probabilmente poteva avere riconosciuto in viso uno dei malviventi, la tesi fu meno credibile, e il ventaglio da parte degli investigatori si dispiegò su uno scenario più vasto. Si analizzarono i filmati dei riscontri registrati nei giorni prima dell’omicidio dalle telecamere degli esercizi commerciali della zona, così come i tanti particolari nelle testimonianze rese dai vicini che potessero risultare utili per ricostruire le fasi dell’efferato crimine. Un delitto che destò scalpore tra la pubblica opinione e che fece precipitare nella paura tutta la zona di piazza Adda e dintorni.

La professoressa Elvira Leone

Gli assassini di Elvira Leone prima di ucciderla per strangolamento avrebbero tentato di inserire la testa della donna all’interno di un sacchetto di plastica. L’obiettivo era di mettere a tacere per sempre l’anziana donna in quanto sarebbe stata in grado di riconoscere il volto del proprio carnefice o dei propri assassini. La donna da alcuni giorni non manifestava più notizie, e fu l’amica del cuore a insospettirsi dell’insolito silenzio, dopo decine di telefonate, è così recatasi insieme alla vicina di casa nell’abitazione della donna, una volta arrivate sul pianerottolo del sesto piano dello stabile, appuravano che la porta blindata era stata forzata e l’appartamento messo sottosopra. Chiamarono immediatamente i carabinieri, che una volta entrati scoprirono il cadavere della donna nel soggiorno. Appariva quindi piuttosto credibile l’ipotesi dell’omicidio scaturito a seguito di una rapina in casa. Tanti gli elementi che indussero gli investigatori a seguire questa pista, dalla forzatura della porta di casa al soqquadro, e la mancanza di tanti oggetti e preziosi che furono portati via; come anche l’ipotesi della messa in scena. Ma chi entrò in casa di Elvira Leone sapeva di trovare oggetti preziosi, tanto da poter racimolare un buon bottino? La risposta è logicamente sì; e anche sul movente non ci sono dubbi: impossessarsi dei soldi e dei beni della donna, se da parte di estranei o di parenti è da scoprire, come pure andati lì per “ragionare” di denaro; di certo qualcuno che conosceva e di cui si fidava.

La svolta nelle indagini dei carabinieri del Ris di Messina che ritornarono più volte sul luogo del delitto per cercare elementi che in qualche modo potevano far risalire agli assassini o all’assassino della donna, compreso alcune comparazioni sul Dna. Forse le effrazioni rilevate sulla porta blindata della casa di Elvira Leone, non erano recenti. Si disse che in quell’abitazione dodici anni prima c’era stato un tentativo di furto. Qualcuno che sapeva che dentro la casa c’erano dei preziosi, e che era stata ancor prima la casa dei genitori della vittima, benestanti anche loro, e forse uno degli aguzzini o un basista. Durante le indagini furono portati a termine una serie d’interrogatori di vicini, conoscenti, come anche di persone nella cerchia della parentela della donna oltre a diversi vicini di casa. In particolare s’indagò su un uomo vicino alla famiglia, o di famiglia, uno che s’incontrava con la donna e di cui non furono ufficialmente formulate accuse a suo carico, ma solamente alcuni aspetti e sospetti. Ovviamente, anche su questo fatto il riserbo rimane ancora assoluto da parte degli investigatori. E dopo i clamori del delitto e i diversi sopralluoghi affidati ai Ris di Messina sulla scena del crimine, sulla vicenda è gradatamente calato il silenzio. Ma poi la storia di un uomo visto dai vicini gironzolare nei pressi del palazzo di piazza della Repubblica in momenti sospetti, fece riaprire le speranze; le immagini riprese da alcune telecamere di sicurezza, attirarono ancor di più l’attenzione degli investigatori per quella parziale ripresa. I carabinieri lavorarono a lungo per identificarlo e capire in che modo, eventualmente, possa essere coinvolto nell’omicidio dell’insegnante in pensione; circostanza a cui si sta ancora oggi indagando.
La professoressa Elvira Leone ha lasciato i suoi averi alla fondazione S. Angela Merici. Il contenuto del testamento trovato dai Ris di Messina nell’appartamento al sesto piano del palazzo di piazza della Repubblica, dove lo scorso 3 aprile avvenne l’omicidio di Elvira  Leone, è stato letto
dal notaio, Alessia Di Trapani, in Siracusa, davanti al fratello della vittima e al sostituto procuratore della Repubblica, Antonio Nicastro, che coordina le indagini sull’omicidio; Elvira Leone ha destinato il suo appartamento, arredi inclusi, l’auto, i gioielli e un conto corrente bancario all’istituto Sant’Angela Merici di Siracusa, fondato da monsignor Gozzo, che assiste i ragazzini con disagi sociali. L’eredità alla fondazione, poi un legato testamentario al fratello, uno a padre Staffile e un altro ad alcune sue amiche.

Scartata l’ipotesi della rapina, anche in considerazione che la donna non avrebbe mai e per nessun motivo (in quel periodo aveva tra l’altro molta paura) aperto la porta a chi bussava, poiché, oltre alla voce, automaticamente era solita attaccare la catenella di sicurezza e vedere in faccia chi bussava; appare logico pensare che chi entrò  e uccise era uno di cui si fidava, qualcuno della parentela o una persona di sua buona fiducia. Tutti elementi importante per capire la dinamica dell’omicidio. E poi, il mistero delle lettere che avrebbe inviato a degli amici (compreso un sacerdote di sua fiducia cui forse ha confidato qualcosa di più), dove avrebbe fatto cenno a possibili pericoli per la sua incolumità e che in caso gli fosse successo qualcosa, le missive dovevano essere aperte e consegnate agli inquirenti. Nell’ultimo mese i vicini e gli amici registrarono che la donna aveva paura, tanta paura, e che sicuramente a qualcuno confidò i motivi; così come l’ora della morte, accertata dal medico legale, che è compatibile con la stessa ora in cui i vicini di casa registrarono le grida provenienti dalla casa e che fece presuppore un’animata lite all’interno dell’appartamento sfociata forse con l’omicidio, in quanto il cadavere fu ritrovato nel soggiorno, quindi la vittima era insieme a qualcuno di cui si fidava e che aveva fatto accomodare lì senza remore. Ma chi entrò in casa della vittima nei minuti precedenti la litigata compatibile con le 48/72 ore dalla morte e che certamente poteva avere come causa scatenante la richiesta o una querelle causata dalla sua passione nell’acquistare mobili antichi, o semplicemente per il fabbisogno immediato, o l’eredità per cui la donna avrebbe detto chiaro e tondo di non voler lasciare niente a qualcuno o a più di uno e anzi annunciando in un momento di rabbia che i suoi beni andavano alla Chiesa, all’Istituto S. Angela Merici, così come, in effetti, poi è stato?

All’appello investigativo mancava un cruciale tassello. Un’autovettura particolare e individuata per mezzo delle telecamere, così come dalle testimonianze e nei riscontri oggettivi e obiettivi cui associare un nome: quello dell’assassino e di cui gli inquirenti sarebbero arrivati. L’automobile è stata ritrovata, così come il movente e il conoscente cui la donna aprì la porta e litigò dentro l’appartamento del palazzo della centralissima piazza della Repubblica a Siracusa quando i vicini sentirono un vociare ad altra voce e dopo il delitto raccontato ai carabinieri. Gli inquirenti erano convinti di essere ad un passo dalla conclusione delle indagini e arrestare chi avrebbe messo fine la parola fine nella vita di dell’anziana professoressa in pensione, con la smania di acquistare tanti mobili antichi e sopra mobili di valore che forse l’ha uccisa. Ma il cerchio delle indagini si ferma ancora ad un passo dalla verità. Secondo gli inquirenti, la chiave di volta del misterioso quando barbaro omicidio, si troverebbe nel Dna rinvenuto nell’appartamento della donna dagli esperti del Ris di Messina e che fu a suo tempo trasmesso ai colleghi di Roma per la comparazione sulla banca dati nazionale. L’impronta riconducibile ad una persona di sesso maschile sarebbe stata trovata sull’abat-jour nel salotto dell’appartamento della donna. Secondo la ricostruzione della dinamica di una colluttazione, risulterebbe che proprio quella lampada sarebbe l’arma del delitto utilizzata dall’omicida che avrebbe ucciso Elvira Leone annodandole attorno al collo il filo elettrico di quell’abat-jour. Gli investigatori stanno anche lavorando su alcuni dati estrapolati dai tabulati del telefono cellulare utilizzato dalla vittima, dove l’attenzione sarebbe caduta sull’ultima telefonata registrata sull’apparecchio telefonico.

Le immagini della telecamera e il Suv

Le indagini portarono all’identificazione di quel Suv di colore scuro di grosse dimensioni attraverso la registrazione di una telecamera della zona e le testimonianze dei vicini di casa. Un’accurata e minuziosa ricerca, collegata alla passione della professoressa per i mobili antichi e l’antiquariato in genere, i carabinieri sono riusciti ad accoppiare quel Dna ad un uomo che ora è ricercato sia in Italia che all’estero.

Concetto Alota   

 

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