Il procuratore Roberto Campisi: “Ho subito una cocente ingiustizia”
Roberto Campisi è un magistrato in pensione dal primo gennaio dello scorso anno. Ha rivestito incarichi direttivi per 7 anni di procuratore capo a Ragusa e per 13 anni da capo della Procura di Siracusa. E’ stato coinvolto nei cosiddetti “Veleni alla Procura di Siracusa”, e dopo tante vicissitudini ha ottenuto dalla Corte di Cassazione l’assoluzione con formula piena. Malgrado la sentenza sia stata emessa a febbraio, ha mantenuto la consegna del silenzio fino al mese scorso, quando sono state depositate le motivazioni della sentenza. Oggi Campisi dice la sua non solo sui veleni in Procura ma soprattutto sugli effetti negativi che le accuse, poi sgonfiatesi, hanno avuto sull’epilogo della carriera professionale.
“Ho partecipato al concorso per 5 posti di procuratore aggiunto alla Procura di Catania – esordisce Campisi – ero il più titolato in quanto ero stato per quasi 20 anni dirigente d’ufficio della Procura. Nessuno degli altri partecipanti poteva vantare titoli di questa natura e per così lungo tempo. Ma il Consiglio superiore della magistratura operò una relazione inusitata. Invece di formare una graduatoria unica, la divise per 5, inserendo in competizione 2 candidati per ciascun posto. Fui contrapposto al mio aggiunto, Giuseppe Toscano, che riuscì a farsi assegnare il posto con la conseguenza che fui escluso”.
–Quale fu la sua reazione?
“Impugnai la decisione del Csm dinanzi al Tar del Lazio che con sentenza del 24 agosto 2010 annullò la nomina dei due concorrenti Marisa Scavo e Michelangelo Patanè, riconoscendo piena legittimità al posto di Procuratore aggiunto che mi era stato negato. I due magistrati e lo stesso Csm proposero appello al Consiglio di Stato che li rigettò con motivazione ancora più severa della sentenza del Tar. Ma il Csm non diede esecuzione alle decisioni di Tar e Consiglio di Stato e fui costretto, pertanto, ad adire al giudizio di ottemperanza al Tar del Lazio per ottenere l’esecuzione coatta della decisione dei giudici amministrativi. E così il Tar dispose che il Csm dovesse decidere conformandosi al giudicato amministrativo entro 90 giorni. A seguito della sentenza del Consiglio di Stato, il 28 novembre 2011 la quinta commissione del Csm, competente per gli uffici direttivi e semi direttivi, deliberò all’unanimità di assegnarmi il posto di procuratore aggiunto di Catania che mi era stato in precedenza negato”.
-Che cosa accadde dopo?
“Cinque giorni dopo fu pubblicato un articolo sul giornale La Civetta nel quale si inserì il mio nome nel caso Siracusa. Un’iniziativa caratterizzata, a mio giudizio, da una singolare tempestività”.
-Nel caso Siracusa furono coinvolti altri magistrati e l’avv. Piero Amara. Il ministro della Giustizia inviò alla Procura di Siracusa gli ispettori per esaminare il caso e verificare eventuali profili passibili di procedimento disciplinare. Come si concluse la verifica degli ispettori ministeriali?
“Fui interrogato dagli ispettori anche come capo dell’ufficio della Procura – dice Campisi – e prima della decisione del Ministero, intervenne un’interpellanza parlamentare del senatore Lannutti che sosteneva che il Ministero stava archiviando la mia posizione perché ero in rapporti di amicizia e di militanza nella stessa corrente con la direttrice dell’Ispettorato del Ministero della Giustizia, dottoressa Di Tommasi”.
–C’erano questi rapporti di cui si fa riferimento nell’interpellanza?
“Quell’affermazione era totalmente falsa come segnalai alla Procura generale della Cassazione. Non conoscevo nemmeno l’esistenza della dottoressa Di Tommasi e nemmeno lei conosceva la mia”.
-Perché, allora, nell’interpellanza si parla di questa circostanza?
“Sono convinto che il senatore Lannutti fosse in buona fede e sarebbe molto interessante conoscere chi ha fornito al parlamentare le false notizie sui miei rapporti con la dottoressa Di Tommasi”.
-Che effetto ebbe quell’atto parlamentare?
“L’interpellanza ebbe l’effetto di non fare archiviare la mia posizione rispetto all’indagine del Ministero, terminata con la richiesta degli ispettori che era proprio quella di archiviarla”.
-Che cosa gli veniva contestato in quella circostanza?
“L’archiviazione riguardava i miei rapporti con l’avv. Amara, che erano stati sempre di natura professionale. Gli ispettori rilevarono che io non avevo trasmesso al Csm la notizia che mio figlio Andrea avesse intrapreso l’attività di avvocato civilista. Ciò determinò un procedimento disciplinare nei miei confronti che si concluse con una sentenza della sezione disciplinare del Csm che mi proscioglieva in quanto la comunicazione relativa alla posizione di mio figlio, non rinvenuta dagli ispettori nel mio fascicolo, venne reperita al protocollo del Csm”.
-Che cosa provocò questo procedimento?
“Questo procedimento, come il successivo, determinò la decisione del Csm di non assegnarmi il posto in attesa dell’esito dei procedimenti disciplinare e penale. Decisione congelata per quasi 2 anni”.
-Tutto ciò ha influito nella vicenda del concorso a Procuratore aggiunto di Catania?
“Con eccezionale tempestività è stato promosso un altro procedimento disciplinare nei miei confronti con una serie di contestazioni che riguardavano la mancata segnalazione al Csm di diversi comportamenti con rilievo disciplinare del sostituto procuratore Maurizio Musco che io avrei dovuto segnalare in qualità di capo dell’ufficio. Da queste numerose contestazioni sono stato assolto con sentenza della sezione disciplinare del Csm il 17 aprile 2015. I procedimenti disciplinari consentirono al Csm di non assegnarmi il posto di Procuratore aggiunto in ordine al quale ero in competizione con la dottoressa Scavo, un sostituto della Procura di Catania che aveva anzianità di servizio di gran lunga inferiore e non aveva esercitato funzioni direttive o semi direttive. Come se non bastasse, la Procura di Messina ha instaurato un procedimento penale con la contestazione nei miei confronti di abuso d’ufficio per la vicenda relativa ai due calciatori del Catania calcio. A seguito di questi procedimenti, io sono stato costretto a esercitare la mia attività alla Procura generale di Catania e poi a ritornare alla Procura di Siracusa mentre la dottoressa Scavo ha continuato a esercitare le sue funzioni a Catania nella stessa stanza e dirigendo lo stesso gruppo di lavoro”.
–Come andò il processo in primo grado?
“Il giudice monocratico del tribunale di Messina pronunciò in abbreviato l’11 febbraio 2014 una sentenza di assoluzione con formula piena perché i fatti non sussistevano. La sentenza fu impugnata dalla Procura di Messina ma anche la Corte d’Appello, con sentenza del 9 dicembre 2015, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione con una motivazione i cui evidenti errori di diritto e le forzature argomentative trovarono naturale reazione nel ricorso in Cassazione. La suprema corte con sentenza del 23 febbraio, depositata il mese scorso, ha accolto il mio ricorso assolvendomi con formula piena”.
-Ritiene esservi stato un disegno preordinato e volto a escluderla dalla carica di Procuratore aggiunto?
“La vicenda personale non è unica – afferma il procuratore Campisi – altri magistrati di altre sedi hanno subito ingiustizie per due ordini di motivi: il primo di carattere professionale perché non è possibile concepire un’attività sostanzialmente persecutoria per impedire a un magistrato che veniva ritenuto scomodo e indipendente di accedere a un posto in questo caso semi direttivo per cui aveva tutti i titoli per una tempestiva e immediata assegnazione e privilegiare altro magistrato molto meno titolato, attraverso un meccanismo perverso di procedimenti penale e disciplinare che, di fatto, sono stati lo strumento per impedirmi l’assegnazione del posto. Strumenti che si sono rivelati alla fine inconsistenti, generando però l’effetto voluto. Sotto il profilo umano non posso che essere fortemente turbato e amareggiato per quello che ho subito. Posso affermare di avere subito una grave ingiustizia”.
–Quelle pendenze disciplinari e penali l’hanno penalizzata nella corsa al posto di procuratore aggiunto?
“Non solo il Csm non mi assegnava il posto ma lo attribuiva della dottoressa Scavo. Sostanzialmente mi è stato negato un posto per il quale avevo pieno titolo sulla base di procedimenti penali e disciplinari senza consistenza e da cui sono stato prosciolto. L’iniquità del trattamento riservatomi appare a chiunque eclatante e clamorosa”.
-Lei non risparmia critiche nemmeno al Csm?
“Non può che rilevarsi che il Csm, per la forte influenza delle correnti e per l’influenza che in alcuni casi il ceto politico può esercitare, si trovi a emettere decisioni discrezionali come avviene sulla stampa e che hanno provocato nel corso degli ultimi 15 anni un aumento rilevante dei ricorsi davanti al giudice amministrativo che segue un discorso obiettivo. C’è, quindi, la necessità che il Csm si dia nuove regole più obiettive e si determini la modifica della legge in modo che regoli il sistema elettorale dell’organo di autogoverno della magistratura”.
-Lei è andato in pensione il primo gennaio 2016. Che idea si è fatta fino a quel momento della Procura aretusea?
“Mi auguro che l’ufficio a cui sono affezionato per averlo diretto per molti anni e perché ne conosco gran parte dei magistrati e del personale amministrativo, la loro professionalità e le loro capacità di lavoro, possa uscire al più presto dalla serie di nuovi problemi insorti e che, peraltro, non mi sembrano avere alcun collegamento con quelli che si svilupparono alcuni anni or sono”.
F. N.