Storia. Strage Via D’amelio e i tanti misteri
Chi sono i mandanti dell’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta nella Strage di Via D’Amelio? “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Sono le parole di chi ha un brutto presentimento che da lì a poco sarà assassinato. Paolo Borsellino muore il 19 luglio del 1992 nella strage di via D’Amelio; un attentato di puro stampo mafioso, ma con la variante che appare terroristico, nell qual persero la vita il magistrato antimafia per eccellenza insieme a tanti altri, e i 5 uomini della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, la prima donna che fa parte della scorta e prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosima e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni.
Il 19 luglio 1992 alle ore 16:58, una vecchia fiat di piccola cilindrata rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo telecomandati a distanza, esplose in via Mariano D’Amelio, 21, sotto il palazzo dove viveva la madre di Borsellino, presso la quale il giudice quella domenica si era recato in visita; l’agente sopravvissuto Antonino Vullo descrisse così l’esplosione: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto…”.
Nello scenario ci sono “decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati” L’esplosione causò inoltre, collateralmente, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti. Sul luogo della strage, pochi minuti dopo il fatto, giunse immediatamente il deputato ed ex-giudice Giuseppe Ayala che abitava nelle vicinanze.
Inizia il fenomeno dei falsi paladini dell’antimafia. Infatti, non chiamateli “paladini” senza prima aver scoperto i loro piani. Bisogna leggere con attenzione del “Sistema Montante” con oltre 2500 pagine di racconti, intercettazioni, accuse, smentite, connubi, corruzione, falsi in atti pubblici e soprattutto tradimenti di tanti uomini delle istituzioni. Uno spaccato dell’Italia corrotta a più non posso. Antonello Montante era il simbolo di una lotta contro la piovra della mafia in Sicilia e invece, come risulta dalle indagini della Procura di Caltanissetta, era a capo di un’organizzazione extra territoriale in quasi tutta la Sicilia che arriva anche nella provincia di Siracusa con lo sandalo del depuratore dell’Ias e non solo.
Ma agli aspetti negativi sono legati alla politica nelle sue mille sfaccettature criminali; nata come scienza e arte del governo, della teoria e la pratica con oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica; l’attività svolta per il governo di uno stato, il modo di governare. L’insieme dei provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini in favore della comunità che si amministra, invece diventa, giocoforza, alleata della mafia. Il governo della vita politica, sociale e gli indirizzi generali per il positivo risultato a favore dei cittadini che si governano, compreso tutte le misure necessarie a evitare crisi d’ogni genere e natura. Chi partecipa alla vita pubblica del governo del popolo è scelto su base maggioritaria, con votazioni libere e democratiche, secondo la propria capacità e competenza, oltre che del grado di onestà, attraverso i partiti politici organizzati, secondo la Carta Costituzione. Se invece riportiamo la descrizione di che cosa è la mafia e confrontiamo la relazione diretta con la politica, pensiamo subito come tutti i punti si accomunino. La scienza e l’arte del governo, con oggetto la capacità della costituzione e l’amministrazione di un soggetto, legale o fuori dalla legge, che si può chiamare stato o associazione “cosa nostra”, “camorra” o “ndrangheta”, lobby, con lo scopo di raggiungere determinati traguardi e obiettivi in favore della comunità che si amministra, sono esattamente uguali. Nei fatti pratici e nella buona sostanza, si tratta di una semplice interpretazione: la politica deve amministrare i beni dei cittadini con il necessario risvolto sociale, politico, economico che deve garantire trasparenza e onestà, così come la mafia deve conciliare gli aspetti di ogni azione capace di apportare benefici ai suoi fedeli “associati”, senza l’impegno dell’onestà, ma del solo onore verso i propri “fratelli” di avventura. Le differenze sono vicine, dove la politica dovrebbe agire con schemi legalizzati dallo stato di diritto democratico, dietro la delega del popolo, la mafia per raggiungere gli obiettivi utilizza la violenza, il condizionamento attraverso la paura della morte.
Si combina la naturale tendenza a sostituirsi alla legge dello stato democratico, con l’azione violenta e il prestigio personale dei mafiosi, organizzandosi in mandamenti, squadre, decine, clan e via dicendo, o anche con la possibilità di essere partiti politici mischiando, nel caso, buoni e cattivi per confondere le idee alla pubblica opinione. Ecco allora la logica. Con i mezzi disponibili si possono raggiungono gli scopi desiderati. Esattamente quello che fa la politica, quindi i politicanti, quando nel chiedere il voto, promettono un posto di lavoro, una licenza prima negata, o minacciano di colpire nel caso del diniego, la stessa cosa per la provvista del denaro necessario all’attività del gruppo. Il politico, si corrompe e quindi ruba al popolo il pubblico denaro, ricatta e agisce contro o in favore di qualcuno e di qualcosa per un tornaconto personale o di partito o della lobby d’appartenenza, il mafioso con lo stesso identico modo e sistema ottiene lo stesso risultato, estorcendo e ricattando. Si tratta di capire chi per primo ha copiato l’altro, considerato che già nell’Ottocento si faceva buon uso della corruzione e dell’appropriazione indebita del pubblico denaro da parte degli eletti.
Oggi lo scenario non è cambiato di molto; ora come allora, si vuole condizionare l’intera attività amministrativa per mettere le mani sui miliardi degli appalti, anche non più con violenza, ma con l’intimidazione e il condizionamento, che si distingue dalla ragione, che soffoca ogni atto democratico e imprime nel pensiero dell’esecutore la visibilità nascosta, perdendo la necessaria lucidità, come se dopo l’intimidazione, l’obiettivo è stato raggiunto, in una logica disperata che cerca di realizzare con la violenza ciò che si chiama vita democratica, politica. Ogni cambiamento è un rischio senza le idee di ricerca; conserva chi ha da perdere, ma la critica è l’idea politica degli altri, la rivoluzione è di tutti. È nessuna soluzione rivoluzionaria è senza un passato, un presente e un futuro. Gli schiavi periranno se non si ribelleranno.
È chiaro che nessuno vuole accettare questa tesi estrema, ma la logica non è una favola, che anzi vuole guadagnare la posizione che merita nella graduatoria del linguaggio universale nell’era cosiddetta moderna. Nessuno accetterà mai tale siffatta condizione, poiché insiste il naturale coinvolgimento di una buona parte dello Stato democratico con i sui molteplici pilastri istituzionali, obiettando che così ogni istituzione potrebbe essere dichiarata mafiosa. In fondo alla fine forse è proprio così.
Su tutta la delicata materia, da parte delle istituzioni, dopo la ricerca sul campo e nel clima generale, sono stati ravvisati profili di rischio elevatissimi per la democrazia; diventa una sfida nel momento in cui uomini eletti dalla volontà popolare nella maniera inversa diventano mafiosi. Emerge una crescente insofferenza da parte della mafia-politica per l’impegno con cui la magistratura inquirente porta avanti i profili investigativi contro molti rappresentati istituzionali sospettati di fare il “doppio gioco”, compreso il prestanome di turno. Una pariglia che si configura come un’alleanza con la mafia, la ndrangheta e la camorra, la lobby della politica organizzata, per gli aspetti silenti in cui appare relegata in maniera sospetta. Il terreno di gioco si sposta sul piano apertamente politico istituzionale, con la concussione diretta di buona parte di dirigenti, tecnici e impiegati della pubblica amministrazione, dove è identificata l’enorme fetta di corruzione denunciata da qualche tempo dalla magistratura contabile oltre che da quella inquirente. Oggi la mafia-politica è, nei fatti pratici, la più potente delle lobby in campo per il controllo del potere economico, politico e sociale; inoltre ha la fiducia popolare e ha costruito il suo impero all’ombra della legalità, dall’interno del Palazzo del potere, alterando il tessuto sociale e culturale, divenendo a sua volta sub-cultura per l’intera pubblica opinione, specie in Sicilia, in Calabria, in Puglia e in Campania. Ma Roma rimane la sede naturale, la capitale, oltre che dell’Italia democratica, anche della mafia-politica.
L’attacco alla magistratura è stato da sempre sviluppato convenientemente dai capi dei partiti politici e dai propri uomini più fidati; questi ultimi più per prosseneta condizione che per mera attività politica, e come una cassa di risonanza si è amplificata fino a farla diventare apparentemente veritiera (acculturamento di massa), riuscendo a convincere buona parte della pubblica opinione, specie tra quelli che hanno qualche pendenza con la giustizia penale o civile, fino a diventare un tormentone nazionale, e alla progressiva metastasi in tutte le regioni d’Italia e finanche all’estero.
La magistratura a volte non ha reagito nei termini politici in cui la risposta è il campo naturale, avvolgendo e trattando caso per caso, come se non fosse una diffusione del fenomeno a livello generalizzato ma bensì isolato. Per fortuna non tutta la politica è lì a reggere questo sinistro gioco. Si trova una buona maggioranza dei politici nel fronte diametralmente opposto; quindi non tutta la politica è corrotta, ma il condizionamento dell’appartenenza alla “casta” è ancora forte.
L’importanza del coraggio su tutti i fronti è necessaria nel momento in cui si vuole annientare il fenomeno mafioso, anche con il cambiamento delle regole del gioco al massacro, registrato più volte e a tutti i livelli istituzionali. Il coinvolgimento di uomini della politica in appalti e nel controllo di settori vitali di una buona parte della società economica italiana, sono fattori di rischio da non sottovalutare. I politici condannati per l’attività del concorso esterno in associazione mafiosa, sono diventati davvero tanti, troppi, e tutti di primo piano nello scenario politico sia meridionale e sia settentrionale. La Sicilia rimane, purtroppo, al primo posto nella graduatoria. Tanti quelli scoperti e condannati, ma molti di più sono quelli che rimangono in attività e con tanta forza di potere politico-mafioso ancora in mano. Il fenomeno della mafia-politica rimane un reale pericolo per le istituzioni democratiche. Si tratta di capire chi deve essere il giudice terzo tra due poteri forti delle istituzioni: la politica e la magistratura.
Il conflitto è sempre più emergente per le competenze e i poteri istituzionali messi in discussione da parte di chi attraverso l’organizzazione della mafia politica controlla il potere per rubare il pubblico denaro. Ma l’antimafia, quella vera, è un’altra cosa.
Concetto Alota