Siracusa. Caso Lukoil: “Per Salvini prima ci sono i russi e poi i lavoratori siciliani”
Nel petrolchimico siracusano è severamente vietato protestare. “Per Salvini prima ci sono i russi e poi i lavoratori siciliani”. Così alcuni operai della zona industriale siracusana davanti ai cancelli della Lukoil. “Evidentemente – aggiungono in coro e arrabbiati – rimangono nel fondo della bottiglia di questa politica del Governo italiano, nostalgie pericolose”. Il caso è quello dei lavoratori dell’ex Isab, di proprietà della russa Lukoil, la più grande compagnia petrolifera russa che ha visto i lavoratori protestare davanti ai cancelli della raffineria nel petrolchimico siracusano, con la tensione al massimo, e che si conforma di primo acchito come una storia semplice del sindacalismo post moderno, per quella che sembrava una vicenda di licenziamenti e del cambio periodico degli appalti. Ma non è così; a caldo si può definire la fotocopia sbiadita del sindacalismo fascista, che comprende la fase del moto di reazione manifestatosi in Italia dall’occupazione delle fabbriche al Patto di Palazzo Vidoni. Appare come un tentativo maldestro in epoca democratica, ma è un ricordo da cancellare la sconfitta dei lavoratori come la tentazione della soppressione del sindacalismo di classe socialista, comunista e di quello cattolico attuale. Si configura oggettivamente come uno strumento fiancheggiatore e della repressione anti-sciopero, contro gli interessi dei lavoratori dell’industria nella Sicilia che lavora e grida vendetta per il fallimento della politica dei governi che si sono succeduti senza la difesa dell’industrializzazione che muore lentamente, lasciandoci in eredità morte e dolore, fame e miseria, veleni dappertutto. Un quadro politico allarmante in favore della supremazia di Salvini, premier di fatto, che si esplicita ora anche nelle relazioni industriali, nel tentare dil ripristino del potere imprenditoriale assoluto in azienda, nel tentare di condizionare gli organismi rappresentativi dei lavoratori, nel divieto di sciopero e di libertà di protesta e nella violenza esercitata nei confronti dei rappresentanti dei lavoratori, magari non con la forza, ma con decreti mirati all’indebolimento dell’attività sindacale. Progetti e programmi che non si risolvono solo nella coercizione, dovendo, infatti, garantire la continuità produttiva delle industrie, che a sua volta si rivolgono alla politica per deviare il corso della democrazia sindacale italiana. Si distrugge così pericolosamente la rappresentanza reale e conflittuale, legittimata dal consenso della base per sostituirla con una rappresentanza istituzionale, di Stato, coercitiva e intermediaria, che si deve a sua volta configurarsi come un’organizzazione meno rigida, dovendo accogliere esigenze e rivendicazioni per incanalarle in una sorta di dispersione delle tensioni: gli operai non possono protestare. La regola impossibile di voler servire due padroni contemporaneamente. E tutto questo avviene in un momento segnato da una profonda crisi economica e sociale le cui conseguenze provocavano il sorgere d’agitazioni che, di fatto, sconfessano le aspirazioni conciliativi del sindacato tentando di relegarlo in un vicolo cieco. Assurdo.
Si contesta a seguito del semplice presidio dei lavoratori a difesa dei loro interessi che hanno lasciato le autobotti cariche libere di uscire, ma impedendo l’ingresso a quelle vuote, quando arriva un’ordinanza firmata dal prefetto di Siracusa Luigi Pizzi del 9 maggio in cui si dispone lo stop per cinque mesi, fino al 30 settembre, agli “assembramenti di persone e automezzi” in tutti i dodici varchi d’ingresso del polo industriale.
I dubbi dei sindacati che dietro il provvedimento ci siano ingerenze di un governo estero che scrive rivolgendosi in prima persona al ministro dell’Interno Matteo Salvini di sgombrare e di non protestare, annullando ogni possibile dialettica democratica tra le parti in causa. E come per la richiesta del piatto di fagioli: non sono i fagioli che preoccupano, ma l’insorgere del vizio.
Concetto Alota