Oggi i funerali dell’agente morto nella Chiesa madre di Rosolini
La tempesta che si è abbattuta in questi giorni, in particolare nella zona sud-est della Sicilia e che ha provocato la morte di Giuseppe Cappello, oltre a incalcolabili danni al territorio e alle strutture, ci induce certamente a riflessione. Ci riporta senz’altro alla caducità della vita umana e alla estrema debolezza dell’uomo dinanzi allo scatenamento delle forze della natura. Così, prendendo coscienza della ineluttabile precarietà della nostra condizione umana, viene spontaneo – nella fede cristiana- rivolgerci a Dio, per trovare in Lui rifugio, aiuto e conforto.
Soprattutto oggi, però, è doveroso non eludere l’interrogativo di quanti (forse troppo numerosi) restano disorientati e nello sconcerto, proprio riguardo alla fede e alla fiducia in Dio: dov’è Dio nel nostro dolore, perché non interviene a proteggere i nostri campi dalle acque che si abbattono, ad evitare le nostre disgrazie, a impedire che onesti lavoratori muoiano nel compimento del loro dovere? La domanda è legittima, e Dio vuole riceverla, anche con l’accusa (sempre implicita e a volte esplicita) d’essere un “Dio ingiusto” e incurante delle sofferenze degli uomini. In particolare chi è colpito a morte e crede in Dio, non può non gridare così, magari attribuendo a Dio la causa del male che patisce nel mondo: “Dio l’ha voluto”, si dice, sia per consolarsi o per ribellarsi.
- giusta la domanda, ma anche è giusto avviare una ricerca onesta per trovare la risposta nel Dio di Gesù, che non vuole la morte e la sofferenza degli esseri umani, ma, piuttosto, è Lui stesso a soffrire e morire per noi. Dov’è Dio nel nostro dolore? La risposta c’è. È sempre là sulla croce del Figlio a condividere, a con-soffrire, a chiedere agli esseri umani la pratica della giustizia vera e dell’amore autentico, che sa offrire e donare con generosità, assumendosi tutte le proprie responsabilità umane, sociali, politiche, al servizio della vita e del bene comune.
Da qui, allo stesso tempo, tutti questi tragici avvenimenti interpellano la nostra coscienza su eventuali responsabilità umane, imponendo il dovere morale di predisporre e
mettere in atto tutto quanto rientra nella possibilità dell’uomo per prevenire, scongiurare o limitare le devastazioni purtroppo già registrate.
A tal riguardo, non può passare inosservato il fatto che la regione siciliana sia in estremo ritardo nella recezione e attuazione della normativa della Legge De Marchi del 1989 e del successivo decreto legislativo 152 del 2006, che regolamentavano con chiarezza e precisione il controllo e il convogliamento delle acque meteoriche, al fine appunto di evitare disastri ambientali. E non si può quindi non prendere atto di quanto questa inerzia legislativa abbia influito negativamente sulla operatività dei singoli comuni, sui quali grava prima di tutto la responsabilità di emanare ordinanze finalizzate alla tutela ambientale e alla sicurezza dei cittadini. Così, sono estremamente carenti anche quelle elementari disposizioni comunali volte ad assicurare: la manutenzione, la pulizia costante e il ripristino degli antichi solchi di scolo dei fondi rustici, nonché il loro convogliamento adeguato nella rete dei corsi d’acqua già esistenti; il mantenimento delle sponde dei fossi per impedire il franamento del terreno; la pulizia degli alvei da erbe infestanti, rovi e rifiuti; il divieto di rimozione delle ceppaie degli alberi che sostengono le sponde del corso d’acqua; la manutenzione delle sedi stradali per evitare l’invasione di arbusti, terra e detriti con conseguente immediato pericolo per autoveicoli e pedoni ecc. ecc.
Si ha la certezza che si potrebbe fare molto di più per prevenire o limitare al massimo disastri come quelli a cui abbiamo assistito in questi giorni, se le normative vigenti fossero meglio osservate, e se il legislatore o l’amministratore facessero maggiormente leva su altre norme necessarie ancora da emanare. Non sfugge a nessuno, intanto, che la Legge di bilancio 2019 comprenda delle voci dedicate alla prevenzione del dissesto idrogeologico e dei rischi naturali, con finanziamenti a interventi di diretta competenza delle regioni e dei comuni, ammontanti a ben 4,2 miliardi di euro per nuovi investimenti, spendibili tra il 2019 e il 2023, fermo restando le iniziative già finanziate con i fondi europei. Una delle novità importanti di questa legge è la previsione di dotazioni specifiche assegnate ai comuni per un totale di 385 milioni all’anno, di cui 250 ripartiti dal Ministero degli interni, e 135 attraverso l’intermediazione delle regioni. Da dire inoltre che nella Legge di bilancio sono stati stanziati anche 2,6 miliardi di euro che confluiranno in un apposito fondo del Dipartimento della protezione civile, che saranno utilizzati per investimenti strutturali e infrastrutturali finalizzati all’abbassamento del rischio idrogeologico. In ultimo, non è superfluo ricordare che il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico”, varato dal governo all’inizio di quest’anno tende a coordinare e sbloccare risorse complessive per 14,3 miliardi di euro in 12 anni.
Come si vede le risorse non mancano. Manca forse quella lodevole audacia umana che trova linfa nella fede cristiana e che permette di portare a perfezione il lavoro dell’uomo, trasformandolo in opera che va a gloria dello stesso Creatore. A questa audacia creativa richiamano i Patti sociali stipulati tra la Diocesi di Noto e i nove Comuni, ricadenti sul suo territorio. Nell’ambito dei Patti sociali si auspica dunque una collaborazione civile che permetta di realizzare tutto ciò che è umanamente possibile per la salvaguardia dell’ambiente e dell’uomo, superando tutte le lentezze e le pletore che hanno purtroppo finora molto caratterizzato le varie amministrazioni pubbliche. Il Magistero di Papa Francesco nella Laudato sì resti in questo lavoro come un paradigma di riferimento costante.