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Ricordato il sacrificio del carabiniere Carmelo Ganci

I Carabinieri del Comando Provinciale di Siracusa hanno commemorato la ricorrenza del 34esimo anniversario della scomparsa del Carabiniere Carmelo Ganci, depositando un cuscino floreale sulla tomba del militare con la resa degli onori da parte di un Picchetto e la celebrazione della messa presso la Chiesa del locale Cimitero concelebrata dal Cappellano Militare della Legione Carabinieri “Sicilia” Don Rosario Scibilia e dal parroco Giuseppe Sudano.

Il Carabiniere Carmelo Ganci era nato a Siracusa il 30 luglio del 1964, a 18 anni si arruolò nell’Arma e fu ammesso a frequentare il corso d’istruzione presso la Scuola Allievi Carabinieri di Iglesias (CA) ed al termine fu destinato alla Stazione Carabinieri di Massa Lubrense, vicino Sorrento. In seguito fu trasferito in provincia di Caserta, presso la Stazione Carabinieri di Castel Morrone, ove prestò servizio per circa una decina di giorni prima di quel tragico 4 dicembre 1987.

Un destino beffardo accomunò in quel maledetto giorno il giovane Carabiniere Ganci e il collega Pignatelli che, liberi dal servizio, a bordo di una Fiat Ritmo si lanciarono immediatamente all’inseguimento della Saab 9000 di una banda responsabile di una rapina consumata pochi minuti prima nel centro abitato campano. Per un’incredibile coincidenza, dopo un lungo inseguimento e pur non avendo percorso la stessa strada, i due Carabinieri intercettarono l’auto incriminata tra Castel Morrone e Piana di Monte Verna. I rapinatori, dopo una curva ed approfittando dell’oscurità, svoltarono in aperta campagna, e, spegnendo i fari, attesero il passaggio di Ganci e Pignatelli.

I due militari, raggiunti, affiancati e mandati fuori strada, diventarono bersaglio facile dello spietato commando che, imbracciando un fucile si accanì contro di loro. I due militari rimasero feriti e, pertanto, impossibilitati a muoversi e a difendersi; una condizione di debolezza che, secondo la sentenza che anni dopo condannerà all’ergastolo i tre autori, non sfuggì ai rapinatori. I tre, da quanto emerso dall’inchiesta, scesero dalla loro Saab e, a sangue freddo, fecero di nuovo fuoco per essere sicuri di aver ucciso i militari tant’è che a terra furono ritrovati oltre 60 colpi sparati.

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