Bar al castello Maniace, Giuliano: “La sentenza del Tar non tutela i beni culturali”
“I principi posti dalla decisione del Tar, che ha respinto i motivi di violazione di legge sia della concessione demaniale, dei pareri della Soprintendenza e del permesso di costruire del bar monstre a piazza d’arme, non garantiscono la tutela dei beni e, al contrario, affermano che si può valorizzare anche un bene culturale senza autorizzazione preliminare dell’assessorato”. L’intervento è dell’avvocato Corrado Giuliano, che ha sostenuto il ricorso proposto al Tar dio Catania, dall’associazione Italia Nostra, ed ha anche annunciato per domattina una conferenza stampa per spiegare nel dettaglio perché intende impugnare la sentenza in sede di consiglio di giustizia amministrativa.
La costruzione del bar all’interno dell’area del castello Maniace ha consumato un altro capitolo giudiziario con la sentenza, emessa dalla terza sezione del Tar di Catania, che ha rigettato il ricorso dell’organizzazione ambientalista, proposto contro la società Senza Confine srl, difesa dall’avvocato Gianluca Rossitto, l’agenzia del demanio, la Soprintendenza e il Comune capoluogo. Italia Nostra aveva chiesto l’annullamento di tutti gli atti, dall’avviso di gara dell’Agenzia del Demanio, per la concessione dell’area demaniale “Ex-Piazza d’Armi” fino al permesso di costruire.
La vicenda è presto spiegata: l’Agenzia del Demanio ha indetto una procedura di evidenza pubblica per l’affidamento della concessione di valorizzazione dell’area di proprietà dello Stato, denominata “ex-Piazza d’Armi”, caserma Abela per un periodo di tempo da sei a dodici anni; all’esito della gara è risultata aggiudicataria provvisoria l’Associazione afro-asiatica del Turismo, la quale ha ottenuto il parere favorevole della Soprintendenza e l’autorizzazione dell’assessorato Regionale per i Beni Culturali. Il 28 novembre 2017 è stato sottoscritto il contratto di concessione; il progetto, tuttavia, è stato sostanzialmente innovato con la previsione di una struttura da adibire a chiosco-bar-ristoro della clientela. Sono sopraggiunti i pareri favorevoli della Soprintendenza e il permesso di costruire rilasciato dal Comune il 4 aprile 2018, alla luce, del verbale del 20 marzo 2018 della Commissione unica per Ortigia. Il primo giugno 2018 la società “Senza Confine”, cui la concessionaria aveva affidato la gestione del bene, ha inoltrato segnalazione d’inizio attività. Il 17 aprile 2018 hanno avuto inizio i lavori, che sono stati ultimati nei mesi di giugno e luglio dello stesso anno mentre l’autorizzazione del Genio Civile il 7 maggio è sopraggiunta dopo l’avvio dei lavori.
Secondo Italia Nostra, l’Agenzia del Demanio era tenuta, prima di avviare la gara, a trovare un accordo o un’intesa con il Dipartimento Regionale dei Beni Culturali; la riqualificazione del bene può riferirsi solo a siti e immobili riconosciuti come degradati. Contesta che il 21 dicembre 2017 l’aggiudicataria ha presentato una nuova progettazione, qualificata come installazione di un’opera d’arte, ottenendo il nulla-osta dell’Agenzia del Demanio ceh ha ritenuto che il nuovo progetto costituisse un mero sviluppo esecutivo di quello originario, mentre lo “stand” ricettivo finalizzato a vari usi culturali ed espositivi è divenuto un “lounge bar”. Per Italia Nostra, poiché la Piazza d’Armi risultava “zona bianca”, l’amministrazione Comunale, prima di rilasciare il permesso di costruire, avrebbe dovuto attribuire una precisa destinazione all’area stessa.
I legali dell’impresa e del Comune hanno sostenuto l’inammissibilità del ricorso in quanto vengono contestati atti ormai non suscettibili di impugnazione, e perché il decreto legislativo del 2004 non prevede alcun accordo preventivo con la Regione per la valorizzazione di un bene di proprietà dello Stato oltre che che i beni immobili di proprietà dello Stato possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, ai fini della riqualificazione e della conversione tramite interventi di recupero, di restauro e di ristrutturazione, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche.
Il Tar, nel respingere il ricorso infliggendo a Italia Nostra il pagamento delle spese processuali pari a 3.500 euro, ha spiegato che “non può condividersi la tesi di parte di parte ricorrente secondo cui la valorizzazione riguarderebbe soltanto la riqualificazione di immobili compromessi o degradati, in quanto la norma contempla tale ipotesi come una fra quelle possibili”, mentre l’autorizzazione della Sovrintendenza deve intendersi anche “a tutti gli aspetti del vincolo, inclusi quelli di natura squisitamente paesaggistica”.
Per quanto riguarda la “zona bianca”, il Tar afferma che “il piano particolareggiato di Ortigia contemplava – inevitabilmente – l’area come demanio militare, in quanto tale sprovvista di destinazione e dove, quindi, risulta possibile effettuare interventi (…) inclusa la possibilità di modificarne la destinazione d’uso.
Per i giudici amministrativi, “il nuovo permesso di costruire in sanatoria sfugge alle censure mosse dalla parte ricorrente, tenuto conto che l’Amministrazione, da un lato, ha “assentito” il prescritto ripristino quanto alle altezze della struttura (cioè, in buona sostanza, ha “consentito” alla parte interessata di ottemperare all’ordine di riduzione in pristino), mentre, dall’altro, ha autorizzato l’intervento relativo al basamento non ostando a tale decisione alcuna particolare prescrizione di natura squisitamente urbanistico-edilizia”.