Contratti pirata e sfruttamento del lavoro: “Siamo mal pagati con 3 o 4 euro l’ora”
L’intervento – a cura di Concetto Alota –
Questo primo maggio di primo acchito è apparso giocoforza un richiamo alla propaganda politica con lo sfondo della guerra in Ucraina, invece della denuncia al mancato rispetto dei diritti dei lavoratori. Lavorare per pochi euro l’ora; è la paga di buona parte di operai, commesse e garzoni sfruttati e senza diritti in un mercato libero di sfruttamento e offerte di lavoro full time a 500euro al mese e condizioni al limite della legalità e schiavitù, non sono più un’eccezione. Nei palazzi del potere politico, si continua a parlare da anni di una legge sul salario minimo, ma non serve; è già sancito dall’art. 36 della nostra Costituzione, lungimiranza dell’Assemblea Costituente, che recita: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Regola che non viene rispettata.
Eppure, di fronte ad una norma così chiara stupisce che dopo oltre 70 anni si debba ancora discutere della sua applicazione e di come assicurare una retribuzione proporzionata e sufficiente tale da garantire una vita libera e dignitosa ai tanti lavoratori sfruttati come schiavi.
“Siamo mal pagati e con poche tutele. Contratti da 3 o 4 euro l’ora, che non è lavoro, ma schiavitù”. Sono le parole di garzoni, operai, commesse e tanti altri precari che si trovano nel girone infermale dello sfruttamento del lavoro. Senza andare tanto lontano e per rimanere a casa nostra, nel brodo locale, nella bella Siracusa, si scopre che si trova tra le condizioni di sfruttamento peggiori di operai, commesse, garzoni e altre qualifiche, quasi tutti costretti a lavorare mediamente per poche euro l’ora, con orari che arrivano anche a nove e dieci ore di lavoro al giorno per una paga media di di 500/700 euro al mese, per circa 270/300 ore di lavoro.
I contratti sono part-time ma il lavoro e full-time. E questo avviene quasi a tappeto nelle gelaterie, bar, ristoranti, panifici, paninerie e negozi in genere, oltre che nelle campagne. Un’evasione diffusa e una condizione di sfruttamento grave in un’epoca che nega la verità incontrovertibile anche dal punto di vista sociale. Sono i nuovi schiavi. Si scopre poi che le commesse sono costrette spesso a cedere alle pretese sessuali di titolari e direttori, per non perdere l’unico posto di lavoro trovato.
Uno sfruttamento del lavoro che sottopone i lavoratori a condizioni assolutamente dure, rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato oltre alla costante minaccia di licenziamento. I controlli mirati al contrasto dell’illegalità diffusa, non danno i risultati sperati e solo una piccola parte viene scoperta. All’arrivo dei controllori, un campanello suona e quelli che lavorano in nero scappano, mentre gli altri sono stati “addestrati” a raccontare bugie, pena il licenziamento.
Tra le irregolarità, quella di non garantire in molti casi le condizioni di salubrità sui luoghi di lavoro, oltre a quelle igieniche, così come la presenza dei parenti, come genitori e figli dei commercianti che, senza contratto di lavoro si trovano all’interno del negozio o nel laboratorio a lavorare.
“Diventa difficile denunciare perché difficile è trovare un altro posto di lavoro” – dice Grazia un nome di fantasia per motivi di sicurezza – stanca e con gli occhi abbassati e gonfi per la lunga notte di lavoro a due euro l’ora. Ma la musica per gli altri nuovi schiavi, frustrati e delusi, nella grande e gloriosa città di Siracusa non cambia, come non cambia la musica dello sfruttamento in quasi tutte le altre zone della città. La disperazione impera; il primo desiderio dei nostri giovani è partire in cerca di nuovi traguardi per un lavoro civile e dignitoso.
Per i clienti che pagano in contanti ci sarebbe poi la mancata consegna dello scontrino fiscale. Ma questo si chiama evasione in danno a tutta la collettività.