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Attualità. La crisi della raffinazione e la perdita di migliaia di posti di lavoro

a cura di Concetto Alota –

Il settore della raffinazione in Europa è in forte crisi. Un momento difficile che si sta concretizzando in una riduzione della produzione e la chiusure degli impianti, con percorsi di conversione del settore dei biocarburanti. Rischio che corre, magari non subito, anche per il Petrolchimico siracusano. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha affermato in un recente rapporto “che entro il 2030 circa il 14% dell’attuale capacità di raffinazione nelle economie avanzate, affronta il rischio di un minore utilizzo o la chiusura. Situazione che potrebbe crescere fino al 50% nel 2040 con una transizione più aggressiva dai combustibili fossili ai veicoli elettrici”.

L’inquinamento in generale solleva preoccupazioni ai cittadini; chiedono miglioramenti dopo che sono stati assunti impegni precisi, ma solo a parole, nell’ambito della Convenzione quadro sul cambiamento climatico. La legislazione ambientale, soprattutto per il settore a valle, è complessa. Le misure ambientali comprendono accordi operativi nel processo stesso di raffinazione, a livello di specifiche di prodotto e di apparecchiatura per contenere le emissioni.

Il settore della raffinazione registra ancora una scarsa redditività. I margini relativi ai processi essenziali della raffinazione e il trattamento iniziale mediante distillazione, sono ora praticamente nulli e i margini relativi al processo di arricchimento, per il miglioramento dei prodotti intermedi, rimangono bassi. Le singole raffinerie possono riuscire a coprire i costi operativi, ma la semplice copertura dei costi cash non è sufficiente per sostenere il necessario sviluppo industriale nell’intero settore.

La chiusura delle raffinerie con decenni di anni di vita sulle spalle, vecchi e obsoleti, è un processo inevitabile, costoso, che richiede lo smantellamento degli impianti e il risanamento dei terreni, oltre alla trasformazione, con percorsi alternativi, come la conversione dei siti di raffinazione in terminali d’importazione da utilizzare per altri usi industriali o passare ai biocarburanti più puliti trattando olio vegetale e olii usati. Con la chiusura delle raffinerie in Europa, Italia compresa, insiste il rischio di migliaia di posti di lavoro. Si configura la possibilità di scegliere l’uso dei serbatoi in cui accumulare idrocarburi già raffinati provenienti da altri paese.

Una sorta di limitazione dei danni, con interventi mirati alla forte crisi del sistema industriale; così come è strutturato insiste il rischio della chiusura delle raffinerie in forte disagio che operano anche in Italia. In pericolo ci sono migliaia di posti di lavoro, tra i dipendenti e dell’indotto. Con la crisi economica galoppante, anche i consumi d’idrocarburi sono in forte calo; per questo ci vogliono regole più semplici, ambientali in linea con gli altri Paesi che controllano il prezzo del petrolio. Quando si parla di chiusura si tratta della sola raffinazione, trasformando le fabbriche che producono idrocarburi in tanti depositi costieri, comprando e rivendendo senza avere sul groppone il costo della raffinazione, creando società miste, con un sicuro risparmio. Infatti, in tal senso, Isab e Trafigura, uno dei maggiori trader indipendenti di petrolio e prodotti petroliferi al mondo, hanno firmato, come chiarisce Goi Energy, “accordi commerciali a lungo termine che garantiranno la continuità nella fornitura di materie prime e nell’acquisto di prodotti finiti”. In sintesi, scrive Goi Energy, “Trafigura svolgerà un ruolo chiave nell’assicurare la piena operatività della raffineria in futuro”.

Il settore della raffinazione è in crisi a causa dei consumi in calo e della competizione dei nuovi Paesi che operano in questo settore, come la Cina e altri Paesi produttori che attuano la concorrenza a più non posso. Occorrono regole più semplici, in difesa dell’ambiente in linea con gli altri Paesi in un quadro normativo di riferimento fisso e sicuro.

La chiusura di parecchi impianti di raffinazione negli ultimi anni ha diminuito la capacità di raffinazione in Europa, limitando anche quella italiana al di sotto del minimo indispensabile, con la crescente importazione di prodotti petroliferi già raffinati.

Ma il silenzio è stato sempre alleato delle industrie.

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