Augusta, droga e telefonini in carcere, undici misure cautelari
Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica etnea, i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania e personale del Nucleo Investigativo Regionale di Palermo della Polizia Penitenziaria hanno dato esecuzione nelle province di Catania, Ragusa, Siracusa, Palermo, Cosenza e Udine a un’ordinanza con cui il Gip di Catania ha disposto l’applicazione di misure cautelari coercitive personali nei confronti di 11 persone, gravemente indiziate, a vario titolo, dei delitti di traffico organizzato di sostanze stupefacenti e di spaccio delle predette sostanze all’interno della casa di reclusione di Augusta nonché di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti.
Gli arresti sono stati operati con il supporto dei finanzieri Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO) nonché dei Comandi Provinciali di Palermo, Ragusa e Udine e, per la Polizia Penitenziaria, con l’ausilio di personale del Nucleo Investigativo di Padova e di Catanzaro, sotto il coordinamento del Nucleo Investigativo Centrale.
Nel dettaglio, l’indagine, diretta dalla locale Procura e condotta dal GICO del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania e dal predetto Nucleo Investigativo Regionale di Palermo della Polizia Penitenziaria, trae origine dalle dichiarazioni di alcuni detenuti ristretti presso la casa di reclusione di Augusta in merito a presunte condotte di illecita introduzione di stupefacenti e telefoni cellulari all’interno della struttura carceraria.
Le investigazioni, svolte anche mediante attività tecniche e servizi di pedinamento, osservazione e controllo, hanno consentito, nell’attuale stato del procedimento in cui non è stato ancora instaurato il contradittorio con le parti, di individuare un’associazione criminale, composta da non meno di 8 soggetti, dedita in particolare all’approvvigionamento, al trasporto e all’introduzione clandestina dello stupefacente, principalmente hashish, all’interno del richiamato istituto di pena.
Il sodalizio sarebbe stato promosso, organizzato e coordinato dai due detenuti. Il primo avrebbe impartito dalla predetta struttura carceraria direttive ai propri sodali a piede libero su quantitativi, tipologia, prezzi e modalità di pagamento della droga, coordinando le successive fasi di introduzione clandestina e cessione ad altri detenuti.
Il secondo avrebbe curato l’approvvigionamento, il confezionamento, il trasporto e l’ingresso dello stupefacente all’interno del medesimo istituto di pena avvalendosi dell’ausilio, a vario titolo, di altri 6 sodali.
L’attività criminosa sarebbe stata resa possibile dall’utilizzo di telefoni cellulari illegalmente introdotti, dotati di sim intestate a soggetti inesistenti, i quali costituivano lo strumento fondamentale per le quotidiane comunicazioni con l’esterno.
Per l’ingresso della “merce” e dei citati telefoni cellulari all’interno della struttura carceraria sarebbero state utilizzate due consolidate strategie operative: la fruizione di permessi premio da parte dei detenuti e i colloqui visivi di questi ultimi con i propri familiari. Nel primo caso il detenuto di rientro nella struttura penitenziaria avrebbe, in più occasioni, abilmente occultato la sostanza stupefacente sulla persona in modo da superare i relativi controlli di rito, nel secondo caso sarebbero state utilizzate diverse modalità che prevedevano il trasporto e l’occultamento ad opera dei “visitatori” dei panetti o dei cellulari all’interno di involucri di patatine, di pannolini per bambini o di bricchi di succhi di frutta, poi cestinati in specifici contenitori dell’immondizia all’interno dell’istituto di pena, previamente indicati da uno dei due promotori dell’associazione, il quale, approfittando della sua mansione di addetto alle pulizie, avrebbe successivamente provveduto al recupero e alla consegna ai propri sodali detenuti.
La sostanza stupefacente avrebbe alimentato un mercato interno a favore dei “clienti-detenuti” interessati al relativo acquisto, con tanto di tariffario completo e aggiornato che variava a seconda della qualità della droga e del grado di conoscenza dell’acquirente. Di norma il prezzo di un panetto di hashish si sarebbe aggirato intorno alle 1.500/2.000 euro e il relativo pagamento sarebbe stato assicurato attraverso accreditamenti su diverse carte Postepay nella disponibilità di alcune sodali a piede libero, madri e compagne dei due dominus del sodalizio, addette alla gestione della cassa e alla tenuta della contabilità del denaro incassato e da incassare. La diversificazione delle carte da ricaricare a titolo di pagamento sarebbe stata finalizzata anche a evitare incongruenze tra l’esiguo ISEE dichiarato e il giro di denaro gestito, essendo taluni dei sodali percettori del reddito di cittadinanza.
Nel corso dell’attività d’indagine, a riscontro dell’operatività del descritto sodalizio, sono stati tratti in arresto, in flagranza di reato, 3 soggetti per detenzione ai fini della cessione di sostanze stupefacenti e si è proceduto al sequestro, in più momenti, di 15 panetti di hashish e apparecchi cellulari. Sono state inoltre individuate specifiche responsabilità a carico degli altri indagati che avrebbero, a vario titolo, preso parte alla florida attività criminosa posta in essere dal predetto sodalizio ponendo in essere attività di acquisto, trasporto o cessione dello stupefacente.
GLI ARRESTATI. Nei confronti di nove indagati il gip ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Ignazio Ferrante, di 39 anni, Michele Ferrante, di 60, Andrea Marino, di 46, Domenico Misia, di 36, Giuseppe Misia, di 25, Angela Palazzotto, di 48, Valetina Romito, di 32, Andrea Scafidi, di 32, e Carmelo Valentino, di 52. Il provvedimento restrittivo dispone gli arresti domiciliari per due indagati: Giuseppe Arduo, di 26 anni, e Clotilde Maranzano, di 61.