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Augusta, la mancata realizzazione del depuratore è il simbolo dell’abbandono della mano pubblica verso i cittadini

Per il presidente della commissione parlamentare sulle Ecomafie, Stefano Vignaroli, nella Sicilia Orientale la situazione è molto grave. L’esempio più desolante è Augusta, dove scarica a mare anche l’ospedale. I fondali marini sono piene zeppe di fanghi di risulta velenosi arrivati dagli scarichi a tubo libero delle industrie dal 1949 che per tanti anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo, con il connubio dei governi che si sono succeduti nel tempo.

Il presidente Vignaroli durante i tre giorni di lavoro nell’isola con audizioni, sopralluoghi e incontri, alla fine ha tracciato una situazione apocalittica. L’abbandono della città di Augusta è ormai da anni, lampante. Definita, già anni or sono, una colonia delle lobby della chimica e della raffinazione, in cui si fa ben poco per tutelare il mare, l‘ambiente e la vita; una risorsa importantissima per l’economia della zona, dove si registra da decenni un’alta mortalità per cancro.

Il secondo porto petrolifero d’Italia dopo Trieste appare ormai da troppo tempo senza una regia capace di difendere gli interessi della collettività, la salute dei residenti; negli Anni Settanta e Ottanta registrava il reddito pro capite tra i più alti del Meridione d’Italia, mentre ora registra una silente crisi che non lascia spazio all’imprenditoria seria e capace.

Che esista una questione meridionale, nell’espressione economica e politica nessuno lo mette in dubbio. C’è una grande sproporzione nel campo degli atti della politica in favore della vita collettiva, nella misura e nel genere in difesa della salute, dell’economia, per i reconditi legami che affrontano il tema benessere e l’anima di un popolo in una profonda diversità fra le consuetudini, tradizioni, il sociale, il senso intellettuale e morale.

Augusta diventa il simbolo dell’abbandono della mano pubblica verso i cittadini. Definire la mancanza del depuratore, in una realtà industriale ricca, una vergogna è un eufemismo. Le denunce sulla mancata realizzazione del depuratore cittadino con le spiegazioni scientifiche di una situazione di pericolo per la popolazione, riferita all’avvelenamento del mare da parte di esperti biologi, tecnici, ambientalisti o comuni cittadini, evidenziando la pericolosità e la possibilità concreta di effetti gravi contro la popolazione residente, è stata davvero tanta. I cittadini hanno dovuto assistere all’arroganza del silenzio di una classe politica incapace, o forse troppo “capace”. Perché spesso si è arroganti solo col silenzio. Nessun intervento serio dagli amministratori per risolvere il grave problema che da circa 30anni tiene banco e sottomette la cittadinanza alla mala politica, come se la città non fosse amministrata. Si continua a ignorare la realtà dei fatti; una malattia contagiata da una forma di mutismo, sindaci e consigli comunali compresi, che si sono succeduti nel tempo.

Ritornando ai lavori della Commissione, aggiunge Vignalori: “Vorrei anche evidenziare la questione delle autorizzazioni l’83% dei depuratori di reflui urbani opera senza autorizzazione in corso di validità. I tempi per il rilascio da parte della Regione sono lunghi e capita che chi chieda l’autorizzazione lo faccia senza prima preoccuparsi di mettere tutto in regola e avere tutti i requisiti”.

Dai rappresentanti di Arpa sentiti dalla Commissione è emerso che a livello regionale, per quanto riguarda i controlli negli impianti di depurazione, l’agenzia non riesce a soddisfare le frequenze previste dal Testo unico ambientale a causa della carenza di personale. Secondo quanto dichiarato, circa il 75% dei depuratori viene controllato almeno una volta l’anno, dando precedenza agli impianti con capacità di almeno 50mila abitanti equivalenti, e circa il 50% dei controlli ha dato origine a proposte di sanzioni amministrative.

“Le informazioni fornite in audizione alla Commissione delineano un quadro drammatico – dice il presidente della Commissione Ecomafie Vignaroli – La Sicilia, nonostante sia circondata dal mare e basi su di esso una fetta importante della propria economia, continua a essere gravemente inadempiente sul fronte della depurazione. Gli impianti che dovrebbero ripulire le acque sono in molti casi macchine per inquinare e non mancano situazioni in cui i finanziamenti pubblici erogati per risolvere il problema non sono stati usati per questo scopo e sono anzi finiti illecitamente nelle tasche di privati”. Dalle indagini svolte dalla Guardia di finanza in Sicilia sul tema sulla depurazione delle acque, viene fuori un quadro davvero grave, inquietante. Tra le operazioni, è stato citato il sequestro preventivo, da parte del nucleo di Siracusa, dell’impianto di depurazione di Priolo Gargallo, in cui entro febbraio 2020, dovranno essere portati a compimento interventi di adeguamento dell’impianto alla normativa. Per la cronaca, i vertici dell’Ias sono coinvolti nell’inchiesta denominata “No Fly”, che coinvolge diverse aziende del Petrolchimico siracusano, iniziata con diciannove indagati ma nel frattempo potrebbero essere aumentati e altri discolpati dai reati inizialmente ipotizzati. L’accusa, per gli indagati è d’inquinamento ambientale in concorso, ma per la società Ias che gestisce il depuratore consortile di Priolo, le indagini si sarebbero allargate, oltre all’inquinamento dell’ambiente, anche alle tematiche dell’appalto dei lavori e alla possibile ritardata manutenzione degli impianti fino al possibile deperimento e cattivo funzionamento; ma la stessa cosa insisterebbe per altri stabilimenti. Insite una corposa documentazione accumulata durante le indagini da riversare nei diversi fascicoli d’inchiesta aperti nell’ambito della maxi inchiesta sull’inquinamento industriale della Procura di Siracusa con l’ipotesi d’inquinamento ambientale e i possibili sviluppi sulle eventuali ulteriori responsabilità.

La Procura di Siracusa, diretta dal procuratore capo Sabrina Gambino, intende accertare se gli impianti di raffinazione del petrolio e della depurazione dei reflui industriali e civili possano essere considerati fonti di esposizione da inquinanti ambientali, dannosi per la vita degli esseri umani. Gli inquirenti indagano se la lavorazione del petrolio e dei suoi derivati possa comportare rischi per le persone che siano esposte agli effetti dei prodotti finali fuori controllo, gas combustibili, zolfo, Gpl, benzine, gasoli, oli, bitumi e altri prodotti intermedi nei vari cicli tecnologici e di distillazione, cracking, reforming. E ancora, alle sostanze utilizzate in tali cicli o aggiunte ai prodotti finali e infine alle sostanze di scarto raccolte come rifiuti o emesse nell’ambiente, compreso i reflui industriali e fognari trattati nei depuratori, scarti bruciati e scaricati in torcia.

Concetto Alota

 

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