Il caso del comandante Nicchiniello e la lunga scia di accuse contro i servitori dello Stato
In un‘epoca che nega la verità incontrovertibile per i tanti casi di malagiustizia in Italia si registrano circa 23000 errori giudiziari accertati e oltre mezzo miliardo di euro d’indennizzi pagati.
La cronaca dei giorni scorsi ci ha riportato alla mente il passato per un caso in cui non c’erano reati, ma semmai la semplice affermazione verbale di una promessa d’interessamento, più per mera diplomatica condizione che dell’effetto di reato. Infatti, il Tribunale del riesame di Venezia ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del tenente colonnello della Guardia di Finanza Massimo Nicchiniello, arrestato il 16 giugno scorso. Il comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Siracusa è indagato con altre 16 persone nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Venezia legata all’ipotesi di concessione di denaro e regali in cambio di sconti nelle sanzioni per evasioni fiscali durate controlli in aziende, che ha coinvolto imprenditori, commercialisti e funzionari dell’Agenzia delle Entrate.
Il comandante Nicchiniello, difeso dall’avvocato Aldo Ganci, è stato interrogato per rogatoria dal Gip di Siracusa Andrea Migneco. “E’ chiaro che il Tribunale del riesame ha ritenuto non ci fossero elementi per la custodia in carcere e attendiamo di capire se si è espresso anche nel merito – ha dichiarato l’avvocato Aldo Ganci -. Il tenente colonnello Nicchiniello si è fin dal primo momento dichiarato innocente ed ha spiegato con minuzia di particolari cosa avvenne durante quella verifica. E’ chiaro che puntiamo all’archiviazione della posizione – commentato l’avvocato Gangi”.
Orbene, non è stato trovato niente a casa di Nicchiniello. “Nell’abitazione di mio fratello non hanno trovato né Rolex, né soldi. Né figli assunti. Sono tranquilla che mio fratello quello che doveva fare ha fatto”. È già determinata poco dopo aver saputo della disavventura giudiziaria del fratello Claudia, sorella del comandare Nicchiniello, funzionaria delle Ferrovie dello Stato, ex studente del Collegio del mondo unito di Duino, originaria di Cividale. Teme a caldo però gli effetti del polverone mediatico, “pretesto per sminuire la figura di un ufficiale che ha già concluso importanti arresti”.
Ne menziona diversi la sorella dell’ufficiale della guardia di finanza orgogliosamente: “A Pordenone aveva sgominato un traffico d’armi, a Imperia aveva indagato sulle Olimpiadi di Torino. Si è fatto tutti confini mio fratello sudando la carriera iniziata da ufficiale semplice. E oggi? Si trova in carcere con una persona che lui stesso aveva arrestato. Questo – dice Claudia Nicchiniello – fa crollare in noi servitori dell’Italia, figli e nipoti di partigiani, forse l’ultima fiducia nello Stato”.
È difficile trattare le questioni come questa apparentemente semplice in cui tanti uomini delle istituzioni appartenenti alle forze dell’ordine sono finiti nel fango. Ecco la piccola parte di una lunga scia di accuse, a cominciare, solo per la cronaca, nei confronti del maresciallo Lombardo, accusato di essere colluso con la mafia. Il maresciallo Lombardo era il comandante dei Carabinieri di Terrasini. Accusato senza fondamento di prove, si uccise. Analoghe accuse furono fatte al tenente dei Carabinieri Canale che beneficiava dell’illimitata fiducia di Borsellino. Ucciso Borsellino, anche Canale fu ritenuto colluso con la mafia. Vigoroso e audace resiste per anni, difendendosi nelle aule dei tribunali. Grazie a Dio, dopo essere stato mortificato e umiliato per anni, è stato riconosciuto innocente, estraneo ai fatti.
Un destino diverso è toccato a Bruno Contrada, condannato privo di prove certe e difeso strenuamente dall’avvocato Pietro Millio. Non si è mai capito che cosa abbia fatto Contrada e in che modo abbia facilitato l’attività della mafia. Si sa soltanto che indagava, investigava, in situazioni difficili, diversi e con metodi antichi quando non c’erano collaboratore di giustizia a volontà come oggi e intercettazioni facili a tappeto. Occorreva utilizzare i confidenti, assicurando favori e privilegio.
Per la stessa ragione fu arrestato l’allora colonnello (poi promosso generale) Conforti, comandante dei Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio artistico. Ma che cosa aveva fatto Conforti? Aveva, semplicemente e con grande abilità, ritrovato la reliquia della mandibola di Sant’Antonio da Padova sottratta al tesoro del Santo dalla cosiddetta mafia del Brenta, per volontà di Felice Maniero detto “Faccia d’Angelo”.
Naturalmente Conforti ottenne il risultato attraverso confidenti accostati con l’abilità di non farsi riconoscere e con gli espedienti di ogni buon carabiniere. Erano comunque tempi difficili. Un uomo da tutti riconosciuto onesto e capace, e un valoroso magistrato, Luigi Lombardini, si convinse, al di là delle sue competenze dirette, a occuparsi del rapimento di Silvia Melis. La situazione appariva tragica, perché non c’erano precedenti di rapiti in Sardegna che fossero stati liberati senza pagare il riscatto. Ci fu dunque una trattativa e Lombardini fece la sua parte, trattando e forse incontrando i rapitori. Nichi Grauso, con la tipica mimica dei veri sardi, mise la somma necessaria e andò direttamente a consegnarla. La Melis fu così liberata in modo di far credere che fosse fuggita. Tutti Indagati, in particolare, incriminato Lombardini per essersi messo in mezzo e aver tentato una trattativa. Fu così messo sotto inchiesta dalla Procura di Palermo, quattro sostituti procuratori indagano. Dopo un interrogatorio a raffica nella sua stanza a Palermo, prese una pistola dal cassetto della sua scrivania e si sparò. Ma il Csm che si occupò della vicenda non osservò l’anomalia dell’irruzione e dello scioccante interrogatorio e il resto; la storia terminò che tutto era stato conforme alle regole, che nessuno aveva compiuto abusi, e che l’interrogatorio era stato regolare.
L’esempio più drammatico è il generale Mori. Addolorato per anni, trascinato sotto processo per favoreggiamento aggravato in relazione alla mancata cattura di Bernando Provenzano, incriminato per concorso esterno in associazione mafiosa. Altro pilastro dell’antimafia perseguitato il colonnello Giuseppe De Donno, così come il capitano Antonello Angeli: tre carabinieri che avendo il compito di combattere la mafia, avrebbero pensato bene invece di favorirla; e per aiutarla, il generale Mario Mori ha catturato Totò Riina. Ma poi per farsi perdonare non ha perquisito bene il suo covo, così come il capitano Angeli non ha aperto la cassaforte di Massimo Ciancimino dove era custodito il “papello” con le richieste di Totò Riina allo Stato. Carabinieri che mettono in prigione i mafiosi e non aprono le casseforti. Il figlio e collaboratore del padre Vito Ciancimino mafioso, e il generale Mori, in questo frullato hanno le stesse responsabilità nel concorrere a sostenere la mafia. E se di Ciancimino si comprendono le ragioni, di Mori, di De Donno, e di Angeli restano inspiegabili. Inutile pensare alla missione compiuta. Combattendo i criminali, si sono trasformati a sua immagine e somiglianza.
Il comandante Nicchiniello è stato arrestato e portato in carcere per aver solo risposto in maniera diplomatica alla richiesta di chiudere un occhio. Un provvedimento a detta di tanti giuristi sproporzionato. Di contro registriamo tanti autori di reati gravissimi, come la corruzione, il peculato, il voto di scambio e il clientelismo che sono fenomeni piuttosto diffusi in Italia, con fiumi di denaro pubblico che scivola nelle tasche e nei conti correnti all’estero di uomini potenti senza che nessuno ordina nemmeno l’apertura di un fascicolo. Di arresti nemmeno l’ombra.
Concetto Alota