Delitto Dalla Chiesa, la strage della Circonvallazione e il coinvolgimento dei siracusani
Il giudice istruttore Giovanni Falcone aveva appena concluso l’inchiesta sull’ omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’ agente Domenico Russo. La mattina dopo ha consegnato alla Procura della Repubblica gli atti di uno dei più importanti processi degli ultimi anni. Saranno adesso i sostituti Giuseppe Ayala e Domenico Signorino a rivedere tutto il materiale, a preparare la requisitoria scritta e a formulare le richieste. Alla fine, toccherà ancora a Falcone firmare l’ordinanza di rinvio a giudizio. Siamo alla conclusione di una colossale indagine che offre una chiave di lettura precisa di quello che è successo a Palermo dall’inizio della guerra di mafia in poi: una radiografia spregiudicata che stabilisce collegamenti e retroscena, che sottolinea le tappe più drammatiche di questa escalation che ha proiettato Palermo ai vertici della criminalità internazionale, sconvolgendo equilibri consolidati da anni ridisegnando la mappa del potere mafioso e lasciando per strada centinaia di cadaveri. Una ricostruzione puntigliosa che parte dagli omicidi-chiave che hanno segnato l’inizio del massacro. Giovanni Falcone ha voluto cominciare proprio con le uccisioni di Salvatore Inzerillo e Stefano Bontade, i super boss della mafia perdente, uccisi nella primavera del 1981. Per arrivare alla feroce esecuzione di Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente Russo, Falcone inizia proprio da lì, da quel drammatico aprile del 1981, dal corpo di Stefano Bontade massacrato da due kalashnikov. E sono proprio queste micidiali mitragliette ad offrire a Falcone un elemento per unire una serie sconvolgente di delitti: con la stessa arma infatti furono uccisi Inzerillo, il boss della mafia catanese Alfio Ferlito, massacrato sulla circonvallazione di Palermo assieme a tre carabinieri e all’autista della macchina a bordo della quale stava raggiungendo il carcere di Trapani. Infine, la strage di via Isidoro Carini, dove in quel tragico 3 settembre del 1982 fu assassinato il prefetto di Palermo.
A giudizio di Falcone, l’esecuzione del generale Dalla Chiesa fu ordinata dai super boss della mafia vincente. Ed è per questo che, nel luglio del 1983, lo stesso magistrato firmò quattordici mandati di cattura contro Michele e Salvatore Greco (i più autorevoli esponenti della mafia siciliana, ricercati anche per l’ omicidio del consigliere istruttore Rocco Chinnici); contro Filippo Marchese, capo del clan di corso dei Mille; contro Rosario Riccobono, boss di San Lorenzo probabilmente inghiottito dalla lupara bianca. E poi nei confronti di Salvatore Riina, uno dei più temibili esponenti del clan dei corleonesi, latitante da quasi vent’ anni; di Masino Spadaro, giudicato dagli inquirenti il personaggio più importante dopo i Greco e attualmente in galera per una storia di droga; di Pietro Vernengo e Carmelo Zanca, considerati l’ anello di congiunzione tra il clan di Ciaculli e quello di corso dei Mille; di Nitto Santapaola, il boss catanese che continua ad essere uno dei personaggi più importanti dell’ omicidio Dalla Chiesa. Accanto a loro ci sono i siracusani Nunzio Salafia, Antonio Ragona e Salvatore Genovese, sospettati di avere avuto un ruolo nella strage di via Isidoro Carini. I loro nomi sono saltati fuori al termine di una martellante indagine durata nove mesi e basata anche sugli appunti e sulle intuizioni del prefetto di Palermo. Dalla Chiesa, infatti, era riuscito a trovare un filo conduttore capace di spiegare la nuova geografia nella mafia imprenditrice, i rapporti di forza tra i vari clan, i metodi di riciclaggio del denaro sporco. Seguendo queste indicazioni, i magistrati palermitani hanno potuto ricostruire il probabile contesto in cui è maturata la decisione di eliminare lo scomodissimo generale. Finora, però, è mancata l’ individuazione del cosiddetto “terzo livello”, il livello della mafia degli insospettabili che aveva tutto l’ interesse a togliere di mezzo Carlo Alberto Dalla Chiesa e che probabilmente ne ha ordinato l’ esecuzione. Su questo fronte l’ inchiesta ha incontrato resistenze notevoli ostacoli. Nel rapporto consegnato da polizia e carabinieri alla magistratura palermitana si tiravano in ballo responsabilità, anche se indirette, di politici e amministratori pubblici. Ma i nomi non sono mai venuti fuori.
Il delitto Dalla Chiesa, la strage della Circonvallazione di Palermo e il ruolo dei siracusani
Il viaggio di questa cronaca dimentica continua sulla strage della circonvallazione, dove morirono il boss catanese Alfio Ferlito, il carabiniere siracusano Salvatore Raiti e gli altri suoi colleghi della scorta, oltre all’autista dell’auto, Giuseppe Di Lavore. Troviamo così, tra le righe della cronaca, un personaggio singolare: il siracusano, Armando Di Natale, 41 anni all’epoca dei fatti, al tempo abitante ad Augusta metalmeccanico per diventare contrabbandiere internazionale della droga e già pregiudicato nel periodo in cui era residente a Milano; fu ammazzato a colpi di pistola sull’autostrada Serravalle-Genova alle ore 11 del 10 ottobre del 1982. Sospettato di essere uno dei “super-pentiti” che avrebbero “cantato” e permesso di individuare i componenti del commando che assassinò che il 3 settembre del 1982 uccisero in via Carini a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. Armando Di Natale fu trovato in fin di vita verso le undici riverso a terra in una piazzola dell’autostrada vicino ad Arquata Scrivia. Un automobilista avvisò una pattuglia della polizia stradale di Genova che allertò il sistema per ricoverare Armando Di Natale all’ospedale di Novi Ligure, dove però morì due ore dopo. L’avevano ferito con due colpi di pistola calibro 7,65 sparati a bruciapelo che gli trapassarono il torace e l’addome.
Armando Di Natale avrebbe pagato così il sospetto dello sgarro, anzi il più grosso “sgarro” contro le cosche mafiose. Infatti, secondo indiscrezioni mai confermate e mai smentite, la magistratura palermitana spiccò gli ordini di cattura per il delitto Dalla Chiesa e per la strage della circonvallazione di Palermo quando furono assassinati il boss catanese Alfio Ferlito, tre carabinieri di scorta e un’autista.
I sostituti procuratori della Repubblica di Palermo, Consoli e Signorino, titolari dell’inchiesta sul triplice omicidio di via Carini, spiccarono altri tre mandati di cattura contro i siracusani, Nunzio Salafia, Salvatore Genovese e Antonio Ragona. I tre furono catturati dalla Squadra Mobile di Palermo nelle campagne di Siracusa, quando alla Squadra Mobile della Questura di Siracusa c’era a capo il dottor Angelo Migliore, e dove la polizia sarebbe andata su precisa “imbeccata”.
Subito dopo il giudice istruttore, Giovanni Falcone, incriminò tutti per la strage della circonvallazione, assieme al boss catanese Benedetto, detto “Nitto”, Santapaola e al killer calabrese Nicola Alvaro. Insomma, lo stesso commando che, dopo aver assassinato il nemico del clan Santapaola, Alfio Ferlito, avrebbe atteso la sera del 3 settembre del 1982 nella penombra di via Carini l’auto del prefetto di Palermo. Con la stessa tecnica operativa e identico uso del micidiale fucile mitragliatore di fabbricazione sovietica arrivato in Sicilia, e che faceva parte di un’intera partita, via mare da Beirut in Libano, e importato da un commerciante insospettabile di Siracusa. Il sospetto che anche il siracusano, Armando Di Natale, avesse fatto parte del gruppo di fuoco che aveva massacrato Alfio Ferlito e la scorta, compreso Salvatore Raiti, sulla circonvallazione di Palermo, per gli inquirenti era verosimile, ma non c’erano prove. E non è da escludere che avesse pure partecipato all’agguato di via Carini per l’uccisione del Prefetto Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di polizia.
Contro Armando Di Natale il giudice Giovanni Falcone pochi giorni prima della sua esecuzione sull’autostrada aveva emesso un ordine di cattura in concorso con altri, Santapaola, Salafia, Genovese e Ragona, quest’ultimo arrestato pochi giorni prima a Torino; tutti insieme ad altri sospettati quali esecutori materiale della strage. Ma il nel maxi processo alla mafia, per l’agguato sia al Prefetto Dalla Chiesa, così come per la strage della circonvallazione di Palermo, Salafia, Genovese e Ragona, mentre per Armando Di Natale fu chiesto il non luogo a procedere per avvenuta morte, furono prosciolti per “la dimostrata insufficienza degli elementi a loro carico”.
Del Di Natale si conosceva solamente che era schedato come contrabbandiere di sigarette e che nell’80 venne denunciato dalla squadra mobile di Siracusa per traffico d’eroina e per estorsioni compiute ai danni di un supermercato di Augusta, città dove abitava. Poi, improvvisamente, fece perdere le tracce. E deve essere di quel periodo l’incontro con il clan dei catanese e il successivo arruolamento nell’esercito privato del “generale” Nitto Santapaola. Pochi anni fa, il boss Totò Riina confida in carcere al compagno d’aria, Alberto Lo Russo, esponente di spicco della Sacra Corona Unita: “Eravamo sette, otto, di quelli terribili … perciò appena è uscito lui con sua moglie … lo abbiamo seguito a distanza … tun … tun … (si porta la mano sinistra davanti la bocca come per indicare “lo abbiamo ucciso”). Potevo farlo là, per essere più spettacolare nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio”. Questa dalla viva voce di Salvatore Riina la cronaca dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il prefetto che operò per appena 100 giorni a Palermo, prima di essere barbaramente trucidato da un commando mafioso, la sera del 3 settembre 1982, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo. E’ Riina che parla nel carcere di Opera, dove è detenuto al regime col regime del 41 bis, con il suo compagno di passeggio, Alberto Lorusso.
E’ il 4 settembre del 2013 e il boss è video intercettato: tutte le conversazioni sono state depositate dall’accusa al processo per la trattativa Stato-mafia. Riina appare sprezzante, irriverente, parla del prefetto Dalla Chiesa senza alcun rispetto: “questo era ubriaco o era un folle. Riina prosegue: “Minchia, allora … deve venire… va bene. L’indomani gli ho detto: Pino, Pino (..ruota l’indice ed il medio della mano sinistra – annotano gli investigatori della Dia nella trascrizione – alludendo verosimilmente ad un suo ordine di attivarsi per un omicidio) prepariamo armi, prepariamo tutte cose”
E poi ecco i dettagli, crudi sull’omicidio: “A primo colpo, a primo colpo abbiamo fatto… eravamo qualche sette, otto… di quelli terribili… eravamo terribili… L’A112 … 0 uno, due tre erano appresso… eh… l’abbiamo ammazzato; Nel frattempo… altri due o tre … … lui era morto ma pure che era morto gli abbiamo sparato… là dove stava, appena è uscito fa … ta … ta .. , ta … ed è morto”.
Concetto Alota
in Cronaca, Primo Piano 3 Settembre 2017