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Gian Carlo Caselli: “Il rapporto mafia-politica ha un respiro nazionale”

L’ex procuratore di Palermo, Gian Carlo Caselli questa mattina è a Siracusa per partecipare a un convegno dal titolo “Mafia e politica”, che si tiene nel salone Papa Giovanni Paolo II del Santuario della Madonnina delle lacrime. Qui di seguito l’intervista che ci ha rilasciato

-L’intreccio fra imprenditoria e politica l’essenza del Sistema Siracusa poi riscontrata da altre procure italiane. Che idea si è fatta dell’intera vicenda?

“Del cosiddetto Sistema Siracusa non ho titolo per parlare e, quindi, mi limito a considerazioni sul piano generale. Mi aggancio al processo Andreotti, per il quale va ricordato che, oltre alla colpevolezza dell’imputato fino al 1980, è emerso il “polipartito della mafia”. La formula è del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che la usò in un colloquio con Spadolini alla vigilia del suo insediamento come prefetto di Palermo. Intendeva riferirsi alla compenetrazione fra la criminalità mafiosa e pezzi appunto della politica dell’imprenditoria. Il processo Andreotti del polipartito ha dimostrato l’esistenza che si articola oltre che nell’imputato, in Ciancimino padre, in Salvo Lima, nei cugini Salvo, in Michele Sindona. Negare la verità del processo Andreotti equivale a negare la realtà di questa compenetrazione tra mafia e pezzi del mondo legale. Il che corrisponde a una “corrente di pensiero” di negazionismo o riduzionismo assoluto dei rapporti tra mafia e politica. Si tratterebbe al massimo di fatti locali, poche mele marce, qualche vicenda di appalti e basta. Invece, e lo dimostra il processo Andreotti, e all’interno del processo, la tragedia di Pier Santi Mattarella, il rapporto mafia-politica ha un respiro nazionale. In sostanza, sia negando la verità del processo Andreotti, sia negando la portata storica del rapporto mafia-politica si finisce per legittimare un certo modo di fare politica che contempla anche rapporti organici col malaffare, mafia compresa. E questo per il passato, per il presente e magari per il futuro”.

-Quali le ragioni di scrivere un libro sul processo ad Andreotti, a distanza di molti anni dalla sentenza?

“Perché ancora oggi – dice Caselli – gran parte degli italiani, forse la maggioranza, è convinta che il senatore sia stato assolto. Convinta, in buona fede, perché questo gli è stato fatto credere con una ben orchestrata campagna di disinformazione. Basta prendere le dieci righe del dispositivo della sentenza della corte d’appello (poi confermata in via definitiva e irrevocabile dalla Cassazione) per capire come siano andate le cose. Fino alla primavera del 1980, l’imputato è stato dichiarato responsabile del delitto di associazione a delinquere con Cosa Nostra per avere commesso il reato. Reato commesso ma prescritto per decorso del tempo. E tuttavia, pur sempre indubitabilmente commesso. E’ un falso, una truffa parlare di assoluzione perché non esiste in natura la formula “assolto per avere commesso il fatto”.

-La sorprende la serie di inchieste giudiziarie che coinvolgono diversi magistrati e travolgono il Csm?

“In passato il Csm ha dovuto affrontare momenti difficili – afferma Caselli – penso all’affiliazione di alcuni magistrati alla P2, che il Csm (unica amministrazione pubblica) ebbe il coraggio e la forza di punire, in un caso anche con la radiazione dalla magistratura. Quel che succede oggi è tutt’altra cosa ma molto inquietante. I fatti che emergono dall’inchiesta di Perugia saranno accertati fino in fondo. Ma è già una realtà la devastante percezione collettiva della questione. I cittadini hanno sempre meno fiducia nella giustizia, tra l’altro, per la lunghezza e il costo eccessivo dei processi. Lo scandalo di oggi non può che aggravare questa sfiducia. Di qui una crisi di credibilità del Csm e della magistratura tutta. Un disastro. Con il pericolo che di questa situazione mefitica possano approfittare coloro che sono sempre in “agguato” per regolare i conti con la magistratura, limandone l’indipendenza. Per esempio, introducendo la separazione delle carriere, che ovunque nel mondo, sempre comporta che il governo per legge possa dare al pubblico ministero ordini o direttive che il pm deve eseguire. In altre parole, il governo potrà dire al pm di fare gli occhi dolci a qualcuno e la faccia feroce agli altri. Fine dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, un valore costituzionale presidiato appunto dall’indipendenza della magistratura”.

-Il ministro della Giustizia, Bonafede, ha annunciato la riforma del Csm. E’ d’accordo?

“Che il Csm vada riformato lo dicono gli stessi componenti e in generale pressoché tutti i magistrati. Le correnti hanno avuto un passato glorioso di orientamento culturale. Ma poi (chi più chi meno) sono cambiate diventando centri di potere. Spesso hanno finito per trasformarsi in “mercanti” per la distribuzione dei posti direttivi. Ma attenzione, se cambiare si deve non bisogna sbagliare. Per esempio, estrarre a sorte i componenti della magistratura secondo me sarebbe un azzardo e potrebbe rivelarsi un rimedio peggiore del male”.

Francesco Nania

 

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