Inchiesta porto di Augusta, troppi i nomi “in giro”: la raccomandazione non è reato, ma semplice immoralità
Le colonne dei giornali ogni giorni riportano il contenuto delle intercettazioni telefoniche trascritto nei tanti rapporti della squadra mobile di Potenza e tramesse a suo tempo ai magistrati della competente Procura della Repubblica. Con dovizie di particolari, troviamo, in parte virgolettate, nomi e cognomi; leggiamo incuriositi che cosa ha domandato Tizio e che cosa ha risposto Caio, parlando dei fatti che hanno portato gli inquirente a formalizzare un’inchiesta con la relativa indagine giudiziaria, senza fare alcuna differenza se i due sono indagati, oppure solo uno dei due si trova iscritto nel registro delle notizie di reato a modello 21, o nessuno dei due.
La sostanziale condizione applica una regola della giurisprudenza corrente. E si rivolge alla mancanza di reato da parte di chi è intercettato, ma non è indagato, perché svolge il suo lavoro d’imprenditore, mediatore o altro, ed è interessato a sviluppare un’attività lavorativa, non commette alcun illecito penale, perché costretto ad agire secondo i modi e nella logica della società moderna. Di contro i due si trovano in prima pagina creando il mal vezzo secondo il quale solo perché uno si occupa di politica e l’altro è un imprenditore, “gatto ci cova”. Nella fattispecie, la razionalità anzi descritta rientra anche per chi vuole occupare un posto di sottogoverno, avendo i requisiti necessari e le capacità, cerca il modo e i termini per raggiungere il traguardo prefissato. Anche quest’ultimo non commette alcun reato. Insomma, per la legge italiana la raccomandazione non è reato, però ogni giorno un numero indefinito di persone, e potrebbe capitare a chiunque, trova il proprio profilo corredato da nome e cognome, di cosa si occupa e con chi ha parlato per aver chiesto una spintarella ad un politico, al presidente di un ente pubblico, oppure all’impiegato o all’usciere, e cosi via, senza essere incolpato, o indagato che dir si voglia.
Con Sentenza del 16/05/2014, la Quinta sezione della Suprema Corte di Cassazione ha affermato che non ricorre alcun abuso d’ufficio, ex art. 323 c.p., un pubblico ufficiale in concorso con altri coimputati, in quanto, per il concorso morale nel reato di abuso d’ufficio non basta la mera “raccomandazione” o “segnalazione”, ma occorrono altri comportamenti positivi o coattivi che abbiano un’efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato. In particolare, poi, la raccomandazione, benché compiuta da un pubblico ufficiale o da un parlamentare, non integra il reato di abuso d’ufficio qualora avvenga al di fuori delle proprie funzioni. La formula assolutoria deve, pertanto, prevalere sulla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione anche nel caso in cui si volesse prendere in considerazione, sotto il profilo soggettivo, la raccomandazione effettuata dall’imputato nella qualità e per il reato contestato.
Infatti, anche in tal caso, per la Corte, il delitto di abuso d’ufficio sarebbe insussistente perché, come, peraltro, già chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione a proposito di raccomandazioni provenienti da un parlamentare, sentenza del 09/01/2013, l’abuso ex art. 323 c.p., “deve realizzarsi attraverso l’esercizio del potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione attribuita”.
Nonostante la Legge Anticorruzione in applicazione, resta, infatti, il dubbio che fatta una nuova legge, il leguleio di turno ne abbia già trovato l’inganno. Perché, in fondo, questa è l’Italia. Insomma, per legge, quello che è sempre stato additato come un malcostume tipicamente italiano, ha la patente della legalità. Non è un pesce d’aprile, ma è la notizia che scuote la pubblica amministrazione, e la giustizia nel suo insieme, ed è confermata dalla Suprema Corte, che tramite sentenza, ha sostanzialmente reso legale la raccomandazione negli enti pubblici, mentre i governi cercano spesso vanamente di combattere favoritismi e clientele, per affermare la meritocrazia o titoli necessari o paritari per una concessione demaniale anziché un’altra, in una sempre più acciaccata gestione della cosa pubblica. L’aspetto, nella sostanza, indica le priorità nel favorire nel rilascio della concessione a Tizio anziché Caio; ma la richiesta e il conseguente colloquio, o raccomandazione, non può limitare il rapporto anche se viziato dall’interesse personale. Alla stregua della richiesta per una semplice licenza necessaria per la vendita ambulante della frutta, ma non c’è la corruzione che è un’altra cosa, ovviamente. Quanti incontri e quanti telefonate all’assessore, al sindaco, al dirigente prima di arrivare all’obiettivo. È, per certi versi, la logica che si vuole far valere in alcune inchieste giudiziarie che riguardano gli uomini che amministrano il Vermexio, dove molti parti del contenuto creano il ritardo nella chiusa delle indagini, e che assumono gli aspetti che rasentano l’applicazione della direttiva delle varie sentenze della Cassazione, in materia di favori per raccomandazione, senza implicare il reato nel suo svolgimento generale.
Riguardo l’abuso d’ufficio, infatti, la Corte ha certificato come per il concorso morale non sia sufficiente la mera “raccomandazione”, ma devono intervenire comportamenti positivi o coattivi che incidano sull’operato del pubblico ufficiale. Secondo quanto scritto nella sentenza, infatti, la raccomandazione è un atto che lascia libero il soggetto di aderire o meno, senza alcuna efficacia diretta sul suo operato.
Del resto, la stessa Corte ha sottolineato, come la formula assolutoria sia da preferire a quella declaratoria, anche per la raccomandazione si intende, comunemente, un’azione o una condizione che favorisce un soggetto, detto raccomandato, nell’ambito di una procedura di valutazione o selezione, a prescindere dalle finalità apparenti della procedura. Per essere tale, la raccomandazione deve coinvolgere un altro soggetto, detto raccomandante o sponsor, il quale esercita un’influenza sulla procedura di valutazione, indipendentemente dalle qualità del soggetto raccomandato. E qui entra in ballo la condizione d’incolpati degli indagati nell’inchiesta, ma assolve i “nominati” al telefono per non aver partecipato ad alcuna azione delittuosa, “perché non avevano alcun potere per farlo”, ma solamente la richiesta di una raccomandazione e un “chiacchiericcio” di relazioni politiche, come pure, una richiesta d’informazione che altro. Nella raccomandazione esplicita (o raccomandazione propriamente detta) lo sponsor o raccomandante è sempre formalmente estraneo alla procedura di valutazione, e può indirizzare una semplice segnalazione telefonica, scritta o verbale, anche per tramite di persone di sua fiducia note alle parti, a uno o più decisori coinvolti nella procedura di valutazione (raccomandatari). In tal caso si può anche parlare di menzione raccomandativa, che spesso è descritta dal raccomandante con l’espressione “ho fatto il nome di….”. Se invece il raccomandante esprime una schietta richiesta di favore o di aiuto, indirizzata ai raccomandatari, allora si può parlare di raccomandazione esortativa.
La raccomandazione implicita (o raccomandazione impropriamente detta) è invece una proprietà del soggetto valutato, che lo lega a un soggetto terzo o a un decisore (rapporto di affari, amicizia, parentela, appartenenza politica, esperienze precedenti) e che può influenzare il processo di valutazione anche senza che un’azione vera e propria sia compiuta per distorcerlo.
Nel caso della raccomandazione esplicita, o anche nel caso della raccomandazione implicita se il raccomandante e il raccomandatario non coincidono, è frequente ravvisare un legame tra raccomandante e raccomandatario che espone il secondo all’influenza del primo, per meriti acquisiti dal raccomandante presso il raccomanadatario, per un rapporto di potere che il raccomandante può esercitare sul raccomandatario, per il prestigio e la reputazione del raccomandante, o per una qualsiasi proprietà del raccomandante da cui il raccomandatario attende vantaggi. Dello stesso tipo possono essere inoltre i legami tra raccomandato e raccomandante: se sussiste un rapporto di parentela tra i due, la raccomandazione è un aspetto dell’antico nepotismo. Se invece sussiste un rapporto politico, che spesso si traduce in consenso elettorale a favore del raccomandante, la raccomandazione rientra nella fenomenologia del clientelismo, cosa diversa nello scambio di voto.
Il meccanismo della raccomandazione “va a buon fine” quando tutti i soggetti coinvolti agiscono di concerto. Spesso le relazioni tra i soggetti qui descritti sono sostenute da trasferimenti di denaro e/o altre prestazioni. Ma in tutta la storia dell’indagine giudiziaria che riguarda il porto di Augusta, per alcuni intervenuti (i cui nomi appaiono ogni giorno nei giornali con la valenza alla pari degli indagati) non c’è dolo apparente, non c’è stata la corruzione con il denaro o altra forma provata. Essere indicato in una forma o nell’altra, trova spazio l’eventuale condizione di un possibile danneggiamento morale, specie se si tratta di un pubblico ufficiale, di un imprenditore o di un politico. Nella logica dell’immaginario collettivo e nella nostra sub cultura, un avviso di garanzia è un processo e una condanna di colpevolezza insieme.
Nella moderna società, gli aspetti di questa logica, nella maggior parte delle raccomandazioni, sono da considerare una vera e propria piaga sociale, che danneggia le fondamenta del nostro debole sistema sociale ed economico, in uno Stato che si definisce a parole di diritto, favorendo il malaffare e minando la competitività del sistema produttivo, incentivando l’inefficienza, gli sprechi e l’illegalità nella pubblica amministrazione, contribuendo a diffondere un’atmosfera di sfiducia nella pubblica opinione. Basterebbe far diventare reato la raccomandazione in tutte le sue infinite sfaccettature.
Concetto Alota