Inquinamento. Molte industrie fuorilegge: la regola chi inquina paga non si applica, vige l’immunità
Inquinano, sono fuorilegge, ma continuano a produrre e ad avvelenare l’ambiente, la vita in generale e gli esseri umani regolarmente. In Italia gli impianti che non hanno ancora ricevuto tutte le autorizzazioni, l’Aia, la licenza necessaria per uniformarsi ai principi dettati dalla Comunità europea, e nulla osta vari, sono ancora tanti tra acciaierie, raffinerie, centrali elettriche e altro ancora. Tutti nella posizione in deroga alle direttive comunitarie e che da anni continuano la propria attività senza avere i nulla osta.
I Siti di interesse nazionale (Sin), le aree contaminate più pericolose, che lo Stato dice di voler bonificare a promesse e parole al vento, ci rammentano ogni santo giorno con i morti per cancro che per queste clamorose infrazioni l’Italia è già stata condannata dalla Corte di giustizia europea. Per parecchi impianti, molti dei quali sono considerati molto inquinanti, arriva la grazia attraverso il silenzio dei governi regionali e nazionali, le industrie “sporche” possono continuare a produrre e inquinare regolarmente. Ad avvelenare l’ambiente non sono solo gli impianti che non hanno ricevuto l’Aia, ma anche molti tra quelli che solo sulla carta sono in regola. È il caso di alcuni impianti del polo petrolchimico siracusano che sulla carta sono in regola, ma, di fatto, inquinano in maniera garibaldina e senza comunicare l’evento; ad accusare il colpo sono gli abitanti di Augusta, Melilli e Priolo e Siracusa costretti ad assistere inermi alla contaminazione e a respirare aria inquinata. L’unica cosa che posso fare è protestare. Una beffa alla luce del sole. Le proteste degli ambientalisti che tutti i giorni scrivono e pubblicano eloquenti denunce con tanto di foto di scarichi con fumo denso senza poter nemmeno segnalare in maniera legale i cattivi odori. Segnalazioni che prendono varie strade e tutte finiscono in un vicolo cieco; nessun provvedimento o diffida, solo proclami a effetto da parte della politica e nulla più. Solo alla presenza di atti formali, come la petizione di Peppe Patti seguita da alcune manifestazioni di gruppi e comitati ambientaliste le istituzioni, si muovono, ma è solo per un tempo limitato fino a quando i bollori si raffreddano e buonanotte ai suonatori. Alla prossima puntata.
Anche la minaccia messa in campo dal sindaco di Priolo Pippo Gianni è finita nel nulla nel batter di poche ore, aria frutta; anche se i toni erano pesanti con la diffida della chiusura delle attività. Infatti, gli impianti hanno continuato come se niente fosse a vomitare puzza e veleni nell’aria.
Troppi connubi, silenzi e interessi milionari nel passato hanno regolato la vita delle industrie e le tasche dei corrotti, così come le tante assunzioni clientelari fino a poco tempo fa. E questo fin dalla nascita della Rasiom nel 1949 battistrada dell’industrializzazione nel territorio siracusano, già Esso e ora Sonatrach, a seguire tutte le fabbriche della chimica e le altre raffinerie, per completare l’opera con lo scandalo chiamato Isab, in cui furono coinvolti sindaci, politici, giornalisti, ministri, membri dei governi regionali e nazionali con una tangente calcolata di circa due miliardi delle vecchie lire.
Già dal 2008 la Commissione europea ha iniziato nei confronti dell’Italia la procedura d’infrazione, trasformatasi in condanna da parte della Corte di giustizia. La regola è stata invertita: il profitto prima della vita, alla faccia del degrado ambientale, dei danni alla salute e delle sanzioni applicate all’Italia e ai suoi contribuenti.
Gli impianti più inquinati a livello sanitario sono noti. In Sicilia poli petrolchimici sono quelli di Gela, che è stato prima della chiusura fonte di emissioni, come ossidi di zolfo e altri forti inquinanti, quello di Milazzo e il Petrochimico di Priolo; quest’ultimo tra i più inquinanti d’Europa. Le speranze sono ora riposte sulla decisione del Ministro dell’Ambiente Costa che ha annunciato investimenti e controlli più severi. Quelli che mancano sono i controlli con l’effetto della prova per chi inquina. Difficile stabilire chi inquina e chi no in un territorio vasto con tre raffinerie impianti che trattano prodotti chimici e diversi depuratori che trattano reflui industriali e civili che rilasciano nell’aria puzza nauseabonda e miasmi a volontà. La regola chi inquina paga, non si applica.
Infatti, il Piano Regionale di Tutela della Qualità dell’Aria approvato dalla Giunta Musumeci nel luglio del 2018, non piace alle industrie. Un documento valido per la pianificazione che mette in moto interventi sulle emissioni d’inquinanti del traffico veicolare, i grandi impianti industriali, dell’energia, degli incendi boschivi, dei porti, dei rifiuti per garantire la buona qualità dell’aria sul territorio della Sicilia e in particolare sui principali centri urbani, sulle aree industriali, dove si registrano superamenti dei valori limite previsti dalla normativa. Il Piano costituisce un primo valido contributo diretto a contrastare l’attuale stato in cui versa l’ambiente nel Sin di Priolo. Le industrie, manco a dirlo, hanno presentato ricorso contro il Piano regionale che ritengono “obsoleto e non rispondente alle attuali condizioni”. Nei motivi il riferimento al mancato rispetto delle fasi di concertazione prima dell’approvazione del Piano, ai dati non aggiornati riportati nel Piano circa le fonti di emissione in atmosfera, fermi al 2012, e sulla qualità dell’aria, fermi al 2015, e a strumentazioni di monitoraggio obsolete e superate da tecnologie più affidabili e avanzate. Il 28 novembre il Tar di Palermo si esprimerà sul ricorso presentato dalle aziende del petrolchimico siracusano.
Concetto Alota