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La difficile eredità del procuratore Giordano, tra le tante inchieste e il fenomeno chiamato Simona Princiotta

È stata un’eredità davvero difficile per il procuratore capo di Siracusa dottor Francesco Paolo Giordano la nomina a numero uno della Procura della Repubblica di Siracusa. Nel mese di luglio del 2013 all’unanimità dal Consiglio Superiore della Magistratura, dopo i famosi “Veleni in Procura” dove si registrò una breve ma feroce “lotta” tra i due poteri dello Stato, politico e giudiziario, che sfociò nel trasferimento d’ufficio da parte della sezione disciplinare del CSM, su richiesta e sollecitazione dall’allora ministro della Giustizia, Paola Severino, del procuratore capo della Repubblica di Siracusa Ugo Rossi presso la procura di Enna e del sostituto Maurizio Musco (rimesso successivamente al suo posto dallo stesso CSM) a quella di Palermo.

Proveniente dalla carica di procuratore capo della Repubblica di Caltagirone, Francesco Paolo Giordano, vanta un lungo curriculum di tutto rispetto. Sin dal 1977 in magistratura è stato giudice presso il tribunale di Modica; dal 1993 al 2003 procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Caltanissetta e componente la DDA nissena; dal 2004 al 2008 è stato sostituto procuratore nazionale Antimafia. Nel 2009 fu nominato a capo della Procura della Repubblica di Caltagirone. Durante la sua permanenze a Caltanissetta si occupò di tante indagini su inchieste giudiziarie scottanti sulla mafia; dalla strage di Capaci, dove rappresentò la pubblica accusa nel processo di primo grado, alla strage di Via d’Amelio, così come da pubblico ministero nel processo d’appello per l’omicidio del giudice Livatino. Si occupò a lungo delle indagini, in uno alla DDA di Catania, sui risvolti, le condizioni e le connivenze tra la politica e il crimine organizzato della mafia catanese; della Base militare degli Stati Uniti d’America, dove è installato la potente stazione radar denominata “Muos” a Niscemi, e dei sei operai che trovarono la morte nell’incidente sul lavoro all’interno del depuratore delle acque reflue di Mineo.

Considerato uno tra i tanti magistrati siciliani impegnati da sempre nello studio e profondi conoscitori del fenomeno mafioso, non ama molto le luci della ribalta; intransigente, cortese e sempre disposto al dialogo con i giornalisti e con i comuni cittadini, ma geloso delle inchieste del suo ufficio e a ogni domanda su indagini in corso non rilascia mai anticipazioni e nemmeno piccoli indizi di sorta, da dove poter tirar fuori qualcosa da scrivere; la stessa cosa si riscontra da parte di tutti i componenti l’Ufficio della Procura da lui capitanato.

Nel palazzaccio di viale Santa Panagia Siracusa trova una situazione disastrosa, dove lo scontro è totale; ma riesce ad equilibrare la guerra. Ma in poco tempo trova nel suo cammino oltre una dozzina di fascicoli d’inchiesta che interessano la pubblica amministrazione siracusana e una lotta senza quartiere. Scava a fondo nei meandri dei rapporti tra la politica e gli imprenditori, dei connubi e degli interessi che si nascondono dietro il paravento del potere istituzionale nell’intero territorio siracusano. Trova un alleato prezioso della giustizia: Simona Princiotta. Un vulcano in continua eruzione, con una sorgente di prove, intercettazioni, documenti, testimoni, che esplode con tutta la rabbia possibile insieme alla sua auto distrutta dalle fiamme ad opera d’ignoti; una data che cambia il voto della politica siracusana. Fascicolo d’inchiesta travagliato, rimesso per la seconda volta insieme e di cui stanno ancora indagando a più mani gli investigatori, dopo i vari passaggi probatori che la stessa consigliera ha messo ancora una volta insieme. S’indaga sugli aspetti di una condizione che appare chiaramente organizzata con lo stile della mafia tradizionale, e dove gli interessi da contrastare sono le denunce che la Princiotta aveva messo e mette tuttora sul piatto della pubblica opinione. Fascicolo al quale si sono aggiunti nuovi elementi di confutazione tra personaggi che hanno avuto il compito d’infangare la pericolosa consigliera comunale. Indagini che hanno preso la strada della riformulazione degli aspetti giuridici al vaglio degli inquirenti, che hanno riorganizzato le tematiche di uno sfondo in maniera speciosa, con la speculare condizione rispetto al primo troncone. Negli ambienti giudiziari, si parla di questa indagine d’inchiesta come il caso più esplosivo, capace di azzerare gli aspetti credibili di fatti e misfatti artefatti e pilotati verso la fase preferita, per ingaggiare un risultato nella logica diversa dalla verità che si voleva invece far credere.

Il procuratore Francesco Paolo Giordano riapre le indagini a ventaglio sulle ingarbugliate tematiche ambientali, dopo aver scrutare a fondo ogni piccolo indizio e ascoltare tutti gli attori e i registi dello scenario industriale del Polo petrolchimico siracusano nelle sue infinite sfaccettature, e a ben vedere e a ben sentire, in sintesi, gli effetti potrebbero essere a breve davvero sconvolgenti, e con i possibili provvedimenti cautelari, sia sul piano dei risultati delle indagini, sia sulla colpevolezza dei tanti incolpati, che a vario titolo e nei lunghi anni d’inquinamento selvaggio hanno fatto il bello e il cattivo tempo, con tutte le possibili connivenze tra pezzi delle istituzioni e i tanti “sensali” e o “compari” degli industriali che di volta in volta si sono presentati all’appello, visibilmente “troppi interessati”, per qualcosa che era invece istituzionalmente scontata e da “studiare” a fondo nell’interesse della collettività. Ma il muro di gomma delle lobby della chimica e della raffinazione si è presentato subito ancor più refrattario verso la verità nascosta dai mille interessi.

Nella carriera del procuratore della Repubblica di Siracusa, Francesco Paolo Giordano, troviamo tanti interventi e studi sulle tematiche del crimine organizzato e dell’intero universo chiamato mafia; si trovano tracce già nel lontano 1986 a Chianciano, dove in un incontro-studio sulla documentazione per magistrati, tra l’altro, scriveva: “… per approssimazione uno scollamento tra l’esigenza di politica criminale di accreditare o comunque di valorizzare le dichiarazioni dei pentiti, da un lato, in quanto è un dato di esperienza comune che le informazioni sulla struttura e sulle attività delle associazioni mafiose e delle organizzazioni criminali, informazioni che provengono da un affiliato delle stesse organizzazioni, sono in termini assoluti più pregnanti di un qualsivoglia fonte di prova alternativa che riesce soltanto indirettamente e approssimativamente a rappresentare certi fatti, e, dall’altro lato, l’esigenza di tipo dommatico di armonizzare questo tipo di dichiarazione con i principi che governano il processo penale attuale e la valutazione della prova, primo fra tutti il diritto di difesa e di libertà dei cittadini”.

E ancora. Davanti alla Commissione Nazionale Antimafia, il procuratore capo di Siracusa, Francesco Paolo Giordano, nella seduta tenutasi il 18 settembre del 1997 e presieduta dal presidente Ottaviano Del Turco, in audizione congiunta con il collega Tinebra, si soffermò a lungo sulle tematiche organizzative delle misure di prevenzione da parte delle procure di tutta Italia, e le indagini sul riciclaggio nel contesto dei territori a forte presenza della mafia sia in Sicilia, così come nel resto del Paese; ma dopo una lunga e appassionata disamina sull’argomento, chiese al presidente Del Turco il permesso di proseguire la seduta in segreto per un breve tempo. Ora sul tavolo del procuratore Giordano ci sono oltre una dozzina di fascicoli d’inchiesta che riguardano la Pubblica Amministrazione a vario titolo e tutte abbastanza complesse, in un territorio carico di veleni e lotte intestine all’interno dei partiti, e dove il potere politico nel passato è apparso “privilegiato”, mentre ora si trova sulle spalle un peso giudiziario non indifferente, addirittura storico per certi aspetti della scienza della statistica.

Concetto Alota  

 

 

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