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La latitanza dorata del lentinese Sebastiano Brunno

“Bravi, avete arrestato un mafioso di rango”. Queste le prime parole che Sebastiano Brunno, il 56enne al vertice del clan Nardo di Lentini, latitante da cinque anni, ha riferito ai poliziotti che lo hanno arrestato ieri mattina a Malta. Gli spostamenti di Brunno eranmo seguiti ormai da tempo dagli investigatori. Così come seguito era l’amico con il quale aveva un appuntamento ieri mattina. Un fiancheggiatore che è partito per La Valletta e non poteva immaginare che insieme con lui vi erano degli investigatori in borghese. E’ stato, quindi, seguito in taxi con il quale ha raggiunto la località di San Pawl Il Bahar, cittadina a 17 chilometri dalla capitale maltese. E’ poi sceso dalla vettura e si è diretto con fare circospetto verso un palazzo a tre piani. Ne esce intorno alle ore 13 con un signore distinto per recarsi a pranzo in un ristorante di lusso della zona. Ed è proprio in quei frangenti che i poliziotti sono entrati in azione.  Inutile il tentativo di sviare le indagini. Brunno ha mostrato una carta d’identità intestata a un palermitano di 49 anni alla quale aveva applicato la sua foto, ma ha capito subito che lo avevano individuato e che stavano per arrestarlo.

Quella di Brunno viene definita dagli investigatori una latitanza dorata. Bella casa, ristoranti e qualche puntatina al casinò. Tutto a spese della cosca malavitosa lentinese, che si alimenta a sua volta con estorsioni e altre attività illecite, portate a compimento nel territorio siracusano e in parte in quello catanese, facendosi forza della vicinanza con il gruppo Santapaola.

Con l’arresto di Sebastiano Nardo e le condanne a raffica degli altri esponenti della cosca lentinese, a prendere in mano le redini del clan sarebbe stato proprio Brunno. Sul suo capo pende una condanna all’ergastolo, inflitta in via definitiva dalla Cassazione per l’omicidio di Nicolò Agnello, la cui esecuzione è avvenuta a colpi di lupara l’11 aprile 1992 sulla strada provinciale Lentini-Scordia. Agnello pagava la sua stretta aderenza al clan dei Di Salvo di Scordia, all’epoca cosca rivale di quella di Nardo per l’egemonia sul territorio. Brunno fu coinvolto nell’operazione antimafia denominata Santa Panagia per la quale ha riportato la condanna al carcere a vita in tutti i gradi di giudizio. Ma prima che la sentenza potesse passare in giudicato e la pena eseguita, nel 2009 ha deciso di rendersi uccel di bosco.

“I contatti con la cosca  – afferma il funzionario dello Sco, Alfonso Iadevaia – avvenivano ‘de visu’. Un messaggero veniva inviato periodicamente a Malta. Quello che abbiamo intercettato era un esattore, che portava i soldi necessari al mantenimento e le ambasciate del clan”. La persona oggetto di approfondimento dell’indagine  si sarebbe recata sull’Isola dei cavalieri almeno due volte al mese. Al momento non vi è stato nessun provvedimento nei confronti del presunto fiancheggiatore.

IL QUESTORE CAGGEGI: “UN OBIETTIVO RAGGIUNTO”. “Un obiettivo raggiunto anche per la grande capacità di fare squadra” – sottolinea il Questore di Siracusa, Mario Caggegi. Il pool, coordinato dalla Dda etnea, che ha lavorato alla cattura di Brunno era composto da agenti della Mobile di Catania e Siracusa, dello Sco di Roma con il supporto del servizio di Cooperazione Internazionale e della polizia maltese. Gli investigatori ritengono che Sebastiano Brunno sia giunto a Malta alla fine del 2013 quando aveva compreso che vi fosse odore di bruciato, visto che, nascondendosi nel territorio di Catania, aveva avuto il sentore che gli investigatori fossero sulle sue tracce. “Non ci troviamo davanti alla cattura di un mafioso in pensione che aveva scelto l’isola di Malta per trascorrere un periodo di villeggiatura – ha riferito in conferenza stampa il funzionario dello Sco – Ma di un personaggio attivo e strategicamente inserito nell’organigramma della cosca. Per tale motivo il clan aveva dciso di prendersi cura della sua latitanza”.

IL DIRIGENTE DELLA SQUADRA MOBILE CICERO: “PROMISE CHE SAREBBE STATO DIFFICILE CATTURALO”. “Sostenere la latitanza di un affiliato significa avere puntati gli occhi addosso delle forze dell’ordine”, ha detto il dirigente della squadra mobile di Siracusa, Tito Cicero. Un rischio calcolato che è costato l’arresto di uno dei cento più pericolosi latitanti d’Italia. Non era la prima volra che Brunno si dava alla macchia. Era stato catturato alla fine degli anni Novanta per trascorrere in carcere due anni. Nel 2009 la seconda fuga. “Nel giugno di cinque anni fa – spiega Cicero – era stato arrestato insieme con i fratelli Giuseppe e Paolo Furno nelle campagne di Carlentini. In quella stessa circostanza promise ai poliziotti che una prossima volta non sarebbe stato facile catturarlo”. E in effetti sono trascorsi cinque anni da wuell’ultima volta.

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