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La Società in cui viviamo. I clan malavitosi si riorganizzano e la società civile annega nella corruzione

La provincia di Siracusa è passata da zona tranquilla, considerata addirittura “babba”, a pericolosa alla pari con le altre zone ad alto rischio mafioso della Sicilia. La continua e costante lotta anticrimine di polizia, carabinieri e guardia di finanza con arresti e sequestri di droga e armi, compreso l’ultimo blitz contro il clan Trigila di Noto eseguito dalla polizia di Stato, su delega della Dda di Catania che ha fatto scattare l’esecuzione di una serie di ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti accusati a vario titolo dei reati di associazione finalizzata al traffico di droga, tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, porto e detenzione illegale di armi ed estorsione aggravata dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare la malavita organizzata insieme ai continui fatti di cronaca nera e giudiziaria che ogni giorno ci deliziano con arresti, blitz, ferimenti e omicidi, traffico di droga, furti, estorsioni e tanti altri reati contro la legalità allarma la popolazione. E mentre l’analisi di come i fenomeni di criminalità organizzata si sono evoluti nel quadro criminale fortemente anche nel territorio siracusano, stenta a conformarsi per vivere nella speranza che si possa trattare di una fugace condizione concomitante e non di una radicalizzazione del malaffare.

Si scopre così la ripresa dell’attività delittuosa e la conferma che i clan malavitosi si sono riorganizzati. Operosità che si può definire “sommersa” o “invisibile”; non fosse altro perché non ci sono notizie certe su tutte le altre attività svolte dagli uomini dei clan che si sono ristrutturati. Oggi ci sono i giovanissimi boss che studiano la storia della mafia, i comportamenti e il modus operanti, collaborati da manovali e gregari selezionati con cura, con la ripresa forte delle estorsioni, il controllo del gioco d’azzardo, del traffico della droga in grande stile, oltre ogni immaginazione, del pizzo limitato a pochi euro ma a tappeto e senza denunce. Insomma, una sorta di controllo del territorio; dunque, la ripresa dell’approccio tradizionale dei vecchi clan mafiosi con la società liquida, con l’economia sommersa, segnala che sta cambiando qualcosa. La qualità organizzativa è strutturata e ben organizzata; le tecnologie sono in uso continuo e diffuso. Videocamere e vedette, sistemi nuovi di trasporto nello spaccio della droga. Si trovano anche tante tracce all’interno della pubblica amministrazione. Uomini delle istituzioni entrati in connubio con pezzi della malavita organizzata.

Ma più di tutte le cose, fa paura la nuova frontiera delle organizzazioni mafiose postmoderne, dove sono sempre di più coinvolti magistrati, giudici, funzionari pubblici, avvocati, uomini della politica. La nuova mafia fa sempre più leva sul sistema della corruzione coinvolgendo dall’imprenditore al politico, mostrando il radicamento nel tessuto sociale e nelle amministrazioni.

Il traffico di droga rappresenta l’affare del secolo per le organizzazioni criminali ed è un fenomeno che agisce in grande profondità. La droga si nutre in gran parte della disperazione della gente, così come il gioco d’azzardo, con la crudele conseguenza di lasciare le vittime in stato di bisogno e incapaci di trovare una liberazione. Da queste considerazioni che le forze di polizia stanno cercando di combattere un fenomeno che facilmente si rigenera e che andrebbe preso prima che si evolva troppo, al contrario delle azioni di lotta, che molte volte sono portate avanti con pochi uomini, strumenti e mezzi. Ma quello che manca è l’intervento della politica, di questa politica, proiettata verso l’apparire e non dell’essere. Manca il governo del territorio.

Concetto Alota

 

 

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