La Stidda si era riorganizzata attorno a due ergastolani
La Stidda si era riorganizzata a Canicattì la Stidda. E’ bastato riottenere la semilibertà che due ergastolani hanno riallacciato i rapporti sul mandamento mafioso. Uno dei capimafia avrebbe sfruttato i permessi premio, per risuscitare la Stidda che sembrava ormai sconfitta. La vicenda è emerso dall’inchiesta del Ros che oggi ha portato a 22 fermi.
Dopo aver scontato 25 anni per l’assassinio del giudice Livatino, ucciso il 21 settembre del 1990 e da poco proclamato Beato da Papa Francesco, il boss Antonio Gallea è stato ammesso alla semilibertà dal tribunale di sorveglianza di Napoli il 21 gennaio del 2015 perché ha mostrato la volontà di collaborare con la giustizia. Con lui anche l’altro capomafia attorno al quale la Stidda si sarebbe andata ricompattando ha scontato 26 anni ed è stato ammesso al beneficio della semilibertà il 6 settembre del 2017 e autorizzato dal tribunale di Sassari a lavorare fuori dal carcere. Anche lui avrebbe mostrato l’intenzione di aiutare gli investigatori. Dall’inchiesta è emerso che gli stiddari sono tornati a far concorrenza a Cosa Nostra, con la quale alla fine degli anni ’80 si erano fronteggiati in una guerra con decine di morti. Stavolta le due mafie si sarebbero spartite gli affari. Come quelli nel settore delle mediazioni nel mercato ortofrutticolo, uno dei pochi produttivi della provincia di Agrigento.
Dall’indagine viene fuori inoltre che gli stiddari avrebbero usato la loro forza intimidatoria per consumare estorsioni e danneggiamenti. Scoperto anche un progetto di omicidio di un commerciante e di un imprenditore, evitato grazie all’intervento degli investigatori. La Stidda – hanno scoperto i militari dell’Arma – poteva contare su un vero e proprio arsenale di armi.
Dalle carte dell’inchiesta viene fuori inoltre come Matteo Messina Denaro, capomafia trapanese latitante da 28 anni, sia ancora riconosciuto come l’unico boss cui spettano le decisioni su investiture o destituzioni dei vertici di Cosa nostra. Anche Messina Denaro è destinatario del provvedimento di fermo.
Il ruolo del boss di Castelvetrano emerge nella vicenda relativa al tentativo di alcuni uomini d’onore di esautorare un boss dalla guida del mandamento di Canicattì. Dall’indagine emerge che per di realizzare il loro progetto i mafiosi avevano bisogno del beneplacito di Messina Denaro. Con lui sono indagati Giuseppe Falsone, ergastolano al 41bis; Giancarlo Buggea, 50 anni; Luigi Boncori, 69 anni; Luigi Carmina, 56 anni; Simone Castello, 70 anni; Antonino Chiazza, 51 anni; Emanuele Diego Cigna, 22 anni; Giuseppe D’Andrea, 49 anni; Calogero Di Caro, 75 anni; Pietro Fazio, 49 anni; Roberto Gianfranco Gaetani, 54 anni; Antonio Gallea, 64 anni; Gaetano Lombardo, 65 anni; Gregorio Lombardo, 67 anni; Antonino Oliveri, 36 anni; Calogero Paceco, 57 anni; Giuseppe Pirrera, 62 anni; Filippo Pitruzzella, 62 anni; Angela Porcello, 50 anni; Santo Gioacchino Rinallo, 60 anni; Giuseppe Sicilia, 42 anni.