L’assassinio di Giuseppe Fava, vittima della mafia: era una penna scomoda
Giuseppe Fava. Giornalista e uomo carismatico. Apprezzato per la sua professionalità e il suo modo di vivere che ha dedicato la sua vita all’affermazione della verità e della giustizia; a raccontare quegli anni non sono solo gli amici e i familiari di Pippo Fava, ma anche la testimonianza, eccezionale e inedita di Angelo Siino, il pentito di Mafia (arrestato nel 1991) che è stato definito il Ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra e inoltre uomo di riferimento del clan dei Santapaola.
Nel 1980 Fava ritorna in Sicilia da Roma per dirigere il Giornale del Sud rendendolo un quotidiano spregiudicato grazie anche alla collaborazione di giovani giornalisti che lo seguono nella sua denuncia dei traffici illegali di Cosa Nostra e delle collaborazioni con la politica, soprattutto attraverso il clan dei Santapaola. Tra le inchieste che porta avanti c’è la ferrea battaglia contro l’installazione di una base missilistica a Comiso e la sua presa di posizione a favore dell’arresto del boss Alfio Ferlito. Ma ben presto Fava è costretto a lasciare anche questo giornale dopo l’arrivo di una nuova cordata d’imprenditori: Salvatore Lo Turco, Gaetano Graci, Giuseppe Aleppo e Salvatore Costa, apparentemente persone qualunque volte solo al business editoriale ma che ben presto si rivelarono “amici” stretti dei boss di Cosa Nostra catanesi e che avevano il compito di licenziarlo. Ma Fava non si dà per vinto; fonda una cooperativa, e con molti sforzi riesce a pubblicare nel novembre del 1982 un nuovo mensile “I Siciliani” le cui inchieste diventano subito un caso politico, talvolta nazionale. Quello che in particolare segnerà il futuro di Fava è il suo articolo “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”; un’inchiesta sulle attività illecite di quattro imprenditori catanesi, Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, e di altri personaggi tra cui Michele Sindona che Fava collega con il clan del boss Nitto Santapaola. Dopo questa sua denuncia Fava inizia a essere sempre più isolato anche dagli stessi intellettuali. È il 1982 e in quell’anno muoiono tra gli altri, Pio la Torre prima e il generale Dalla Chiesa. Il pentito Angelo Siino ricorda: “In quel periodo non c’era una voce a favore di Fava”.
Scrive in merito Fava:”Io vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi. I siciliani lottano da secoli contro la mafia. I mafiosi stanno in parlamento, i mafiosi sono ministri, i mafiosi sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono al vertice della nazione. Nella mafia moderna non ci sono padrini, ci sono grandi vecchi i quali si servono della mafia per accrescere le loro ricchezze, dato questo che spesso sono trascurato. L’uomo politico non cerca attraverso la mafia solo il potere, ma anche la ricchezza personale, perché è dalla ricchezza personale che deriva il potere, che ti permette di avere sempre quei 150mila voti di preferenza. La struttura della nostra politica è questa: chi non ha soldi, 150mila voti di preferenza non riuscirà ad averli mai! I mafiosi non sono quelli che ammazzano, quelli sono gli esecutori. Ad esempio si dice che i fratelli Greco siano i padroni di Palermo, i governatori. Non è vero, sono solo degli esecutori, stanno al posto loro e fanno quello che devono fare. Io ho visto molti funerali di Stato: dico una cosa che credo io e che quindi può anche non essere vera, ma molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità”.
La sera del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava lascia la redazione de “I Siciliani” con la sua Renault 5 per andare a prendere sua nipote che recitava, in “Pensaci, Giacomino”! – al Teatro Verga di Catania. Ma non fa in tempo a scendere dalla macchina che è freddato da cinque proiettili sparati alla nuca.
Le autorità, contro ogni evidenza, preferiscono etichettare l’omicidio come delitto passionale prima, e come omicidio legato a un movente economico poi (“I siciliani” aveva diversi problemi economici). Anche le istituzioni con il sindaco Angelo Munzone in testa, danno peso a questa tesi, tanto da evitare di organizzare una cerimonia pubblica alla presenza delle più alte cariche cittadine.
Al funerale tenutosi nella piccola chiesa di Santa Maria della Guardia a partecipare sono soprattutto giovani e operai. Tra i politici gli unici presenti sono il questore, alcuni membri del PCI e il presidente della Regione Sicilia, il siracusano Santi Nicita.
Per arrivare a considerare l’omicidio di Fava un delitto di mafia sono trascorsi tantissimi anni. Fava, infatti, sembra dar fastidio anche da morto: e qualcuno vuole impedire che diventi un simbolo della lotta contro la mafia. Adriana Laudani, legale della famiglia Fava racconta: “Finalmente dopo 12 anni da quel 5 gennaio del 1984, il pentito Maurizio Avola parla e si accusa dell’omicidio Fava e questo è il punto di svolta. Solo dopo queste dichiarazioni e la condanna, si riapre il “Caso Fava” e inizia un’azione da parte della magistratura catanese che nel frattempo, per fortuna, si era rinnovata”.
Angelo Siino dice ancora: “Non può essere stato semplicemente un omicidio di mafia, di questo ne sono certo. Perché al di là degli articoli, Fava ai mafiosi faceva danno sì ma non straordinario. Ne faceva molto di più all’imprenditoria coinvolta e ai politici”.
A Catania nel 1988 si termina il processo denominato “Orsa Maggiore 3”. Per l’omicidio Fava sono condannati Nitto Santapaola come mandante, Aldo Ercolano e Maurizio Avola come esecutori materiali. Santapaola ed Ercolano sono condannati all’ergastolo mentre Avola ottiene 7 anni per patteggiamento. La procura di Catania ha inoltre avviato un procedimento contro Gaetano Graci che però si è dovuto terminare prematuramente per la sopraggiunta morte dell’imputato. Per quanto riguarda Carmelo Costanzo gli elementi di responsabilità sono emersi in un momento successivo alla sua morte e quindi non è stato possibile procedere contro di lui.
Parla Elena Fava, figlia di Giuseppe: “Ci sono due possibilità, una è che ti ammanti di questa cosa e te la metti addosso come un cappotto chiedendo compassione e considerandoti vittima, oppure lasci questa vita alle spalle e inizi una vita nuova dimenticando il male ricevuto. La terza possibilità è quella che nella nostra famiglia ci siamo posti inconsciamente, di non lasciar trasparire il dolore, non considerarci vittime, ma raccontare la nostra rabbia e mantenere viva la memoria perché quando una persona muore in questa maniera, non appartiene solo alla famiglia ma appartiene a tutti”.
Dal 2007 è stato istituito un premio nazionale intitolato proprio a Giuseppe Fava per chi si è distinto nelle inchieste giornalistiche.
“Dovete lottare”: questo è il testamento spirituale di Giuseppe Fava, il testamento di un uomo che ha lottato fino alla morte per la verità, per la libertà e per la democrazia.
Il figlio, Giovanni Giuseppe Claudio Fava, comunemente detto Claudio Fava, nasce a Catania il 15 aprile del 1957; è un politico e giornalista, scrittore e sceneggiatore. Alla lettera ha seguito quel “Dovere Lottare” che il padre invitava il popolo siciliano per riscattarsi dalla morsa della mafia; rappresenta il volto pulito di queste elezioni regionali.
Claudio Fava è stato coordinatore Nazionale del movimento Sinistra Democratica e Parlamentare europeo, è stato Coordinatore della Segreteria nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà. Candidato alla presidenza delle Regione Siciliana con una percentuale che sfiora il 13%, mettendo insieme per la prima volta da quasi un decennio l’intera sinistra italiana.
Da ragazzo ho conosciuto personalmente Giuseppe Fava, detto Pippo; fu il collega e amico del cuore Armando Greco a portami a Catania nella redazione del giornale di Fava “I Siciliani” in cui pubblicai due articoli sulle tematiche dell’inquinamento della zona industriale siracusana.
Concetto Alota
Giuseppe Fava nasce a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il 15 settembre 1925 da due maestri di scuola elementare. Nel ’43 si trasferisce a Catania, dove si laurea in giurisprudenza per poi diventare giornalista professionista due anni dopo. Nel 1956 viene assunto dall’Espresso sera e ne diventa il caporedattore fino al 1980. Gli anni all’Espresso Sera furono importanti per la maturazione del giornalista Fava. Da capocronista, per anni, si occupò dell’organizzazione delle pagine di cronaca nera, principalmente nelle recensioni cinematografiche.
In questi anni inizia a occuparsi di teatro, cinema e letteratura e poi a Roma anche di radio. Intanto scrive la sceneggiatura di “Palermo or Wolfsburg” per il film di Werner Schroeter tratto dal suo terzo romanzo “Passione di Michele” che nell’80 vince l’Orso d’Oro di Berlino.