Mafia: in attesa della nomina dell’erede di Riina, manca un raccordo di “comando al vertice”
a cura di Concetto Alota –
Nella lunga relazione al Parlamento della Dia, l’attività di analisi sulle dinamiche della mafia nel territorio palermitano conferma come essa risulti un’organizzazione tendenzialmente unitaria, impegnata in un continuo sforzo teso a riorganizzarsi e orientata verso la ricerca di una maggiore interazione tra le varie articolazioni mandamentali in considerazione dell’assenza di una struttura di raccordo di “comando al vertice”. Tale difficoltà di ricostituire una leadership autorevole alimentata dalla continua, incisiva e pressante repressione giudiziaria con la quale vengono colpite le organizzazioni mafiose determina inevitabilmente per cosa nostra una situazione di incertezza. In tale ottica e considerata la costante inoperatività della commissione provinciale di Palermo la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà. Risulta infatti che “…dalle indagini condotte è emerso come gli uomini d’onore abbiano rafforzato la “funzione sociale” al fine di mantenere il controllo del territorio di riferimento ed allargare la base del consenso”. Cosa nostra seguita a operare in tutti gli ambiti criminosi di interesse dal traffico di stupefacenti all’imposizione del “pizzo”, nonché dagli investimenti in attività economiche delle ricchezze illecitamente accumulate ai fini di riciclaggio alle infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni al fine di condizionarne l’attività nell’assegnazione dei pubblici appalti. Tali attività consentono alle consorterie di disporre di cospicui ingenti capitali e nel contempo avere una incisiva ingerenza sul territorio.
Infatti, la “commissione provinciale di Palermo” rimane inoperosa, e “la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà”, a questi personaggi mafiosi si affiancano poi giovani criminali “forti di un cognome o parentela “di spessore””.
Appare sempre di più una mafia meno violenta, capace di “penetrare e di confondersi nel tessuto economico legale” e nelle “dinamiche della gestione locale della cosa pubblica”. Così messe da parte “azioni eclatanti e destabilizzanti per la sicurezza pubblica”, i boss preferiscono stringere “patti corruttivi” con colletti bianchi e imprenditori e qualche volta con la politica.
“Nel tempo anche le altre organizzazioni di tipo mafioso hanno perseguito la medesima strategia – si legge nella relazione semestrale della Dia – abbandonando il più possibile l’idea di affermarsi sul territorio mediante azioni eclatanti e destabilizzanti per la sicurezza pubblica. Si preferirebbe quindi individuare, all’interno delle amministrazioni pubbliche locali e delle professioni o delle imprese, soggetti di riferimento in grado di garantire il perseguimento dei propri interessi illeciti”.
Ma chi sarà l’erede di Riina?
Il Boss dei boss morì a 87 anni in carcere il 17 novembre 2017. Da allora nessuno è riuscito a prenderne il posto; stava scontando 26 ergastoli e dal 1993 era recluso al regime del 41 bis. Nato a Corleone, fedelissimo di Luciano Liggio, prese parte alla sanguinosa faida contro gli uomini di Michele Navarra. Nel 1969 avviò una lunga latitanza e la sua ascesa, sancita ancora nel sangue il 10 dicembre di quell’anno con la “strage di Viale Lazio”.
Il giorno dopo la sua morte, tra i boss della mafia di primo livello, i più crudeli di sempre, l’idea è perentoria: non abbassare la guardia; è l’inizio di una pericolosa fase di transizione in cui la mafia cercherà di riorganizzarsi e di trovare una nuova guida di spessore. Secondo alcuni addetti ai lavori, potrebbe anche aprirsi, in qualsiasi momento, una nuova guerra tra i clan per la successione.
In prima battuta si insiste su Matteo Messina Denaro, soprannome “U siccu“, considerato tra i latitanti più pericolosi e ricercati al mondo, ma sarebbe stato scartato e lo stesso avrebbe rinunciato da subito per la sua “assenza”. Una posizione ormai difficile per conquistare lo scranno più alto di Cosa Nostra; in andatura rapida per la successione ci sono i corleonesi. Il nome di Giovanni Grizzafi come possibile successore di Totò Riina nel ruolo di leader di Cosa Nostra è fra i più quotati degli esperti del settore. Si tratta infatti del nipote del defunto boss mafioso, conosciuto con il nome di “Messia”, e parte dei corleonesi. Un clan che di certo non intende mettersi da parte di fronte ad una presunta guerra per la successione. Secondo il Procuratore, Roberto Scarpinato, si tratterebbe dell’unica figura all’interno del clan dei corleonesi in grado di avere il carisma adatto per diventare il nuovo Capo dei capi. Ma la posizione di questo personaggio rimane ferma.
Quale nuovo capo dei capi di cosa nostra palermitana era stato indicato anche Settimo Mineo, il boss di Cosa Nostra; era l’erede designato di Totò Riina. Definito “l’ultimo padrino”, il leader del mandamento di Pagliarelli, era stato indicato come successore del corleonese e capomafia della commissione provinciale. Uno della vecchia guardia prendeva le redini della nuova mafia. Settimo Mineo, 80 anni, – lo “zio Settimo” per gli amici – incoronato capo della commissione provinciale di Palermo, è tra i 46 fermati nell’operazione dei carabinieri “Cupola 2.0”; è ritenuto l’erede di Totò Riina. Quel posto di capo dei capi era vacante dal 17 novembre 2017. Il procuratore Cafiero De Raho: “La designazione di Mineo dimostra che la commissione di Cosa Nostra da Corleone è tornata a spostarsi a Palermo. Non si parla di merito, si nomina il più anziano”.
Tra i possibili nuovo capi di cosa nostra, tra tanti altri, troviamo Stefano Fidanzati, classe 1948, dell’Arenella. Tra i primi posti si trova Cosimo Vernengo, classe 1966, della Guadagna. Ma viene denunciato, arrestato e condannato a 9 anni per estorsioni; aveva chiesto il pizzo al proprietario di un bingo. La Quarta sezione del Tribunale di Palermo ha condannato a nove anni di reclusione il boss di Santa Maria di Gesù Cosimo Vernengo e a cinque anni Paola Durante, che gestiva il bar della sala bingo del quartiere di Villagrazia, a Palermo. Sulla linea della collaborazione della mafia in Sicilia, troviamo anche cosa nostra catanese; subito dopo la bocciatura di Matteo Messina Denaro, i padrini palermitani discutono sul futuro dell’organizzazione, ma non bisogna escludere una possibile egemonia con i vecchi amici catanese.
Intanto, il ricambio generazionale è stato per il momento sospeso; e questo potrebbe far ripartire l’ennesima guerra per la successione.