Nasce ufficialmente il Governo Draghi
Dopo oltre un mese contraddistinto da quella che i posteri ricorderanno – in tutta probabilità – come la parlamentarizzazione della crisi più burrascosa e vendicativa della politica italiana, nasce ufficialmente il Governo capitanato da Mario Draghi.
Un Esecutivo del Presidente, di unità nazionale e dei costruttori, che rievoca l’esperienza a Palazzo Chigi di Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 (il quale sarebbe poi diventato il 10° Capo dello Stato nel 1999) a seguito dei terremoti giudiziari di Mani pulite (o, altresì, Tangentopoli) che sconquassarono irreversibilmente la cd. Prima Repubblica. L’italiano più illustre al mondo incasserà la fiducia di una larghissima maggioranza (la più ampia forse nella storia repubblicana), trasversale e, conseguentemente, assai variegata in un arco costituzionale che certifica ormai da tempo – con lo sgretolamento dell’esperimento del bipolarismo agli inizi Anni Duemila e la promulgazione di riforme della legge elettorale, a sistema misto, parecchio discutibili – il ritorno del cd. multipartitismo esasperato.
A seguito della débâcle delle Elezioni Politiche nel 2018, al termine di una disastrosa stagione renziana, il mondo della sinistra e (in particolar modo) il Partito Democratico han intrapreso un lungo percorso di risalita. Sotto la guida del Segretario Nicola Zingaretti, abile team manager la cui poca attitudine al grido da stadio non sempre lo ripaga come meriterebbe, il PD ha resistito a due scissioni – anche se l’influente ricordo di una corrente ormai fuoriuscita riemerge ancora tra alcuni esponenti in Parlamento – incrementando persino la sua forza e sperimentando un nuovo connubio (su scala nazionale) con la genesi del Governo giallo-rosso guidato da Giuseppe Conte. Tuttavia gli ultimi accadimenti politici hanno un po’ spiazzato i dirigenti di Via del Nazareno, costringendoli “obtorto collo” ad un parziale e repentino cambio di strategia nel solco della responsabilità. Per il futuro del Paese e dello stesso PD (la compagine partitica avente le più rilevanti personalità nostrane tra le istituzioni dell’Unione Europea, UE, come il Commissario Europeo per gli Affari Economici e Monetari Paolo Gentiloni e il Presidente del Parlamento dell’Unione Europea David Sassoli). Questione quote rosa? È stato certamente uno scivolone che andava evitato, ma teniamo bene a mente l’eccezionalità con cui il Patto Civico per l’Italia ha preso forma e ricordiamoci che gli Esecutivi aventi una maggiore presenza femminile sono stati – specialmente nell’ultimo trentennio – quasi tutti pressoché di centrosinistra.
Piomba nel caos il MoVimento Cinque Stelle dopo le roventi turbolenze interne, l’emergenziale discesa in campo di Beppe Grillo, l’esito del voto sulla Piattaforma Rousseau (che ha evidenziato, per l’ennesima volta, le incongruenze riguardo al concetto di democrazia diretta così propinato e mal congegnato in relazione al nostro impianto istituzionale) nonché l’addio dell’eterno ribelle Alessandro Di Battista. La linea filo-governativa ha prevalso in un M5S che, se un tempo voleva aprire le scatolette di tonno e stravolgere il sistema, adesso è divenuto il tonno e fa ormai parte a pieno titolo del sistema. Abiurando il suo passato (i più ricorderanno certamente la campagna pentastellata contro la moneta unica e i cattivi della Commissione Europea), ingoiando qualsiasi cosa e continuando ad assistere inerme al suo ridimensionamento in termini di consensi.
Continuano le faide di palazzo alla House of Cards perpetuate dal leader di Italia Viva che, una volta aver silurato colui il quale dal Papeete Beach invocava i «pieni poteri» ed aver spianato la strada ad un nuovo Esecutivo, dall’alto del suo 3% ha deciso che era il momento di staccare la spina trincerandosi strumentalmente dietro alcune legittime preoccupazioni, con un unico obiettivo: far fuori Giuseppe Conte, la cui statura era ormai divenuta ingombrante (non soltanto per l’ex Sindaco di Firenze). Il tutto, nel pieno di una pandemia globale. La mossa a dir poco machiavellica di Matteo Renzi, acuta e geniale sotto il profilo squisitamente tattico, evidenzia quanto la politica degli addetti ai lavori possa rivelarsi subdola, calcolatrice e, allo stesso tempo, quanto mai distante dalle reali difficoltà dei cittadini. Con l’arrogante spregiudicatezza di chi non ha nulla da perdere, l’ideatore della rottamazione che nel Febbraio 2014 aveva rasserenato Enrico Letta e il fervente sostenitore del sistema maggioritario che in quel nefasto 4 Dicembre del 2016 aveva polverizzato la sua epopea (passando dal 40,81% dei voti alle Europee al 18,7% delle preferenze alle Nazionali) promettendo solennemente il suo ritiro dalle scene, manifesta tutta la sua frustrazione politica (la visione di costruire un polo di centro che indebolisse tanto la sinistra quanto la destra, passando per lo sgonfiamento del M5S ad oggi non è mai decollata) con slanci di rancoroso spirito di auto-conservazione. Non sapremo mai, forse, quanto di premeditato vi fosse in un’operazione che ha destato gli interessi di Forza Italia e persino della Lega. Così come probabilmente non ci sarà dato sapere se effettivamente fosse a conoscenza di un Piano B che coinvolgesse l’ex inquilino della Banca Centrale Europea (BCE). Di una cosa siamo certi: che in questo momento trascinare gli italiani alle urne era praticamente impossibile – come ha ben sottolineato il Presidente Mattarella – e che per lui il voto avrebbe rappresentato la fine definitiva dei giochi. Se prima l’eccessiva rigidità di IV aveva comportato il rifiuto categorico a qualsiasi scenario di un ipotetico Governo Conte III, adesso la disarmante leggerezza con cui la stessa compagine partitica ha avallato (a scatola chiusa) tutte le scelte del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri – intestandosene aprioristicamente i meriti e trionfando alla neo «[…] squadra di alto livello» dimenticandosi però di aver contribuito alla resurrezione di alcuni dinosauri della politica – non può che render ardua e faticosa la difesa di una simile operazione a quei pochi sparuti ferventi in circolazione. L’intero Paese ripone certamente una grande fiducia in Mario Draghi, augurandosi di cuore che sia all’altezza (come ha sempre dimostrato nella sua vita) del grande ruolo affidatogli: ma l’attuale Senatore più impopolare d’Italia, che tesse le lodi di un Regno poco incline ai diritti umani come l’Arabia Saudita e cita a vanvera il Rinascimento dietro lauti compensi, non riuscirà facilmente a rinobilitare la sua figura agli occhi dell’elettorato. Se vorrà continuare a sopravvivere, sarà meglio che ne inventi un’altra delle sue. Ma prima o poi, si sa, tutte le serie TV giungono ai titoli di coda. Specialmente quelle con il minor numero di apprezzamenti.
Grande ritorno alle scene per Silvio Berlusconi e per i forzisti. Oltre ad aver riconfermato degli esponenti del Conte II, il nuovo Esecutivo in salsa vintage ha infatti riproposto alcune figure mitologiche del Berlusconi IV (made in 2008) come Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. L’ipotetico triumvirato sottaciuto Italia Viva-Forza Italia-Lega nonché le telefonate notturne ai cd. responsabili han generato buoni frutti in un mondo che rioccupa, dopo molti anni, gli scranni del Consiglio dei Ministri. Lo scatto tra il “Cavaliere” e il leader del Carroccio è eloquente: il centrodestra torna di moda.
Matteo Salvini si riscopre improvvisamente europeista, liberale e moderato. Ma soprattutto, al termine della sbronza sovranista/populista che ha imperversato nell’intero globo e la caduta di Donald J. Trump negli Stati Uniti d’America, si ritrova improvvisamente folgorato sulla via di Damasco. Anzi, di Bruxelles. Il vento sta cambiando, il progetto di una Lega più estesa ha palesato tutti i limiti del caso e le storiche roccaforti del Carroccio han perentoriamente intimato al loro Segretario di salire sul vagone di un treno molto sostanzioso sul piano economico.
Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni scelgono la strada della (più o meno sobria) opposizione, consci di dover mantener saldi i rapporti con FI e Lega ma di poter trarre unilateralmente vantaggio dalle crepe nonché dagli strappi che una maggioranza bulgara sì multiforme potrà riservare. La scalata di FdI non cenna a diminuire – qualora si votasse oggi i sondaggi lo attesterebbero al 16% circa – e, nelle vesti di (unico) partito al momento dichiaratamente nazionalista/sovranista, potrebbe avere tutto di guadagnato.
Un triste dato emerge lampante, per l’ennesima volta: quando la classe politica è chiamata a fare la sua parte, con disciplina, quest’ultima abdica alle sue prerogative ontologiche. Quando i partiti sono chiamati ad essere adulti, con maturità, puerilmente si liquefanno palesando la loro disarmante inconsistenza. Ed ecco che affidarsi all’esperienza dei tecnici e/o di coloro i quali dimostrano notoriamente il loro valore in altri campi del sapere diviene, quindi, l’unica soluzione possibile e necessaria. Da Mario Monti a Mario Draghi, dal 2011 al 2021, il bagaglio di competenze in dotazione alla politica non ha fatto altro che diminuire, in piena sintonia con quell’incapacità (ormai pluridecennale) degli schieramenti partitici di saper costruire al proprio interno una classe dirigente che si riveli culturalmente e professionalmente adeguata nel fronteggiare le numerose istanze che emergono tra i cittadini di un tessuto sociale sempre più liquido.
L’uomo che alla guida della BCE ha salvato l’Europa e la moneta unica, adesso è chiamato a salvare l’Italia. Riuscire a sconfiggere la pandemia attraverso l’allestimento di una rapida campagna vaccinale senza precedenti, riuscire a programmare il Recovery Plan (ossia i progetti di riforma strutturali, finanziati dal Next Generation EU e, quindi, dal Recovery Fund varati dal Consiglio Europeo nell’ormai celebre accordo del 21 Luglio 2020, durante il secondo vertice più lungo della storia dopo quello di Nizza svoltosi nel 2000) e riuscire a ridisegnare il futuro del nostro Paese saranno le tre sfide inderogabili per l’uomo che pronunziò la celebre frase «Whatever it takes». Dei 750 miliardi – di cui quasi 400 come trasferimenti a fondo perduto – l’Italia potrà infatti beneficiare di 208,8 miliardi (di cui 81,4 in trasferimenti e 127,4 in prestiti), pari al 28% circa del totale. Al fine di ottenere quanto sperato e, nondimeno, al fine di scongiurare ulteriori insanabili fratture all’interno dell’arco costituzionale (che ha dovuto rispolverare il “manuale Cencelli” per trovare la quadra) saranno necessarie la leadership e la tenacia che hanno sempre contraddistinto l’operato di Draghi nel mondo.
Infine, una nota di riguardo al Presidente del Consiglio dei Ministri uscente. Sebbene l’applauso a lui riservato dai commessi e dagli impiegati di Palazzo Chigi rientri consuetudinariamente – a mo’ di prassi – nel protocollo del Cerimoniale, il sincero trasporto di quell’affettuoso tributo lascia intendere la dedizione con cui Giuseppe Conte ha onorato (giorno e notte) il suo ruolo. Nonostante la deludente esperienza del Governo giallo-verde, le grandi incongruenze/colpe di quei momenti e la sua mirabolante capacità trasformista, alla guida del Governo giallo-rosso ha condotto una nave in tempesta lottando contro il Covid-19, incassando una grande vittoria per l’Italia in ambito unionale e divenendo (stando ai sondaggi dei mesi addietro) il Primo Ministro più apprezzato degli ultimi trent’anni. Con la sua crescita politica, la sua dialettica, la sua formazione giuridica, il suo garbo, la sua pacata fermezza, il suo bilanciamento formale e sostanziale nonché (quando ciò si è rivelato necessario) la sua dose non indifferente di interventismo era meritatamente divenuto un punto di riferimento imprescindibile tanto nel panorama istituzionale quanto nella vita reale di tutti noi. Pur non sorvolando sui tanti errori compiuti l’anno precedente, grazie a lui il sistema-Italia ha agito e reagito (seppur tra mille errori e/o impedimenti di natura oggettiva) bene nel suo complesso, applicando in maniera spasmodica ma costruttiva il nuovo impianto giuridico-costituzionale caratterizzato dal pluralismo cooperativo – nell’articolazione della Repubblica in Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato – e dall’attuazione della concezione orizzontale-collegiale a seguito della legge costituzionale del 18 Ottobre 2001, n. 3 (la cd. Riforma del Titolo V). Si poteva e si doveva fare di più? Sicuramente, ma ho seri dubbi che i restanti leader nostrani avrebbero agito più efficacemente. La riconferma di ben nove Ministri del precedente Esecutivo (come ad es. Roberto Speranza) certifica, peraltro, l’autenticità del buon lavoro svolto nella sua interezza. In ottica futura, potrà ambire a riaffermarsi (nelle vesti di tecnico super partes) come la sintesi ideale per il continuum dell’alleanza tra il Partito Democratico, Liberi e Uguali e il MoVimento Cinque Stelle (che lo avevano difeso fino all’ultimo istante); l’esperienza dei partiti in solitaria, ormai è pacifico, si dimostra infatti ampiamente deleteria.
Per questo, e molto altro, la moltitudine ringrazia Giuseppe Conte e spera che Mario Draghi prosegui nella faticosa operazione di rilancio del Paese. L’Italia e i suoi cittadini hanno l’inderogabile compito di rimanere uniti. Con determinazione, coraggio e spirito di sacrificio. Perseguendo, insieme, un’unica meta.