Noto, libro, fiori e l’intitolazione di una via per riportare alla memoria le Foibe
“Esistevano diversi modi per infoibare gli italiani, uno tra questi era buttare un cane nero all’interno della cavità affinché potesse nutrirsi dei corpi e soprattutto delle anime di questa povera gente. Le foibe sono state violenze di Stato con implicazioni non solo politiche ma anche sociali e religiose”. La terribile verità sui martiri delle foibe è stata protagonista ieri della partecipata presentazione del libro di Fabio Lo Bono “Popolo in fuga. Sicilia terra di accoglienza”, a cura dell’Associazione Culturale Aeropoema e CasaPound Noto, tenutasi nella sede di via Sergio Sallicano. Con l’inizio del mese di febbraio in cui si celebra il Giorno del ricordo, solennità civile nazionale istituita da apposita legge del 30 marzo 2004 ogni 10 febbraio (giorno della firma dei Trattati di Pace a Parigi), diverse saranno le iniziative poste in essere per ricordare la tragedia che vide vittime, non soltanto del massacro delle foibe, ma anche dell’allontanamento forzato dalla proprio terra gli italiani dell’Istria e della Dalmazia. Il Giorno del Ricordo sarà alla sua quindicesima commemorazione visto che, appunto, solo nel 2004 ci si è ricordati di questa bruttissima pagina di storia, dimenticata dai libri ma ben impressa nella memoria dei superstiti e dei loro discendenti. E sono oltre 300 le testimonianze raccolte in anni di studio e di ricerca serviti al palermitano Fabio Lo Bono per la stesura del suo libro. Giunto alla seconda ristampa è stato arricchito di nuovi particolari, e le presentazioni si stanno tenendo in lungo ed in largo per l’Italia; quella di Noto è stata la 148° e la prossima sarà a Gorizia il 25 marzo. Il testo contribuisce senza alcuna ombra di dubbio al recupero di questi fatti che qualcuno, di recente, ha avuto pure il coraggio di mettere in dubbio. “Mi è capitato in alcune conferenze di ricevere domande tendenziose, volte a minimizzare o addirittura a negare i fatti successi, sia per l’eccidio delle foibe, per gli annegamenti e per il trattamento ricevuto dagli esuli. Quando è capitato ho fatto rispondere gli stessi protagonisti presenti con me agli incontri”. La forza della verità, il desiderio di alzare la polvere addensatasi su queste storie che hanno visto protagonista anche la nostra Sicilia. “Il grazie va a mia nonna che abitava a trecento metri da uno dei due centri di accoglienza degli esuli isolani, quello di Termini Imerese (in un ex caserma borbonica ancora esistente, n.d.r.), l’altro era a Catania, in zona Cibali, dove ora c’è la facoltà di Agraria. Quand’ero piccolo mi raccontava spesso di quando arrivarano lì di come cambiarono anche le abitudini degli stessi confrontadosi con gli usi e i costumi di questi connazionali vissuti in una terra così lontana. Le donne andavano al mare coi bikini, usavano la bicicletta, cose impensabili per le isolane del ’48, e giocavano a basket – spiega Lo Bono -. Pensate che la squadra di pallacanestro dal 1949 al 1953 vinse tutti i campionati e la spiegazione, mai ricercata a dir il vero, era semplice!”. Un incontro fra mondi diversi se pur sempre sotto unica bandiera, che arricchì tantissimo ma che, soprattutto, servì anche a riscattare la Sicilia.
“Gli esuli una volta giunti in Italia venivano mandati nei 108 campi sparsi per lo Stivale e quando veniva comunicato loro che sarebbero partiti per l’Isola si notava disperazione perché sopravissuti a Tito non volevano andare in una terra contrassegnata dal potere mafioso. Ed invece poi, scoprendone le caratteristiche non solo paesaggistiche ma anche e soprattutto umane e di accoglienza, non dimenticarono più questa parte della loro vita”. Una vita difficile figlia di una tragedia immane, uccisi e gettati, anche vivi, all’interno delle cavità carsiche profonde persino 100 metri, dette appunto foibe (dal dialetto che modificò “foeva” in latino significa fossa) o annegati o anche mutilati ( la tortura più praticata era l’asportazione degli occhi). Chi sopravviveva veniva costretto a lasciare tutto e tornare dentro i ridisegnati confini dell’Italia ma l’accoglienza a loro riservata era tutt’altro che “umana”. Fatti viaggiare stipati in carri bestiame non si aveva alcuna pietà nemmeno delle donne e dei bambini; tanti sono gli episodi raccontati dai testimoni a Lo Bono che fanno riflettere e pongono l’immediato quesito. Che colpe avevano questi italiani? Perché meritavano questi trattamenti. “Partiamo dall’inizio. La Yugoslavia di Tito era una sorta di cuscinetto tra la paventata avanzata dell’Unione Sovietica e l’Europa Occidentale, ma soprattutto l’Italia di quegli anni preferì tenersela “amica” con una sottomissione a discapito dei suoi stessi connazionali. Pensate che Tito, i cui crimini di guerra sono arcinoti, nel 1969 fu insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana con l’aggiunta del Gran Cordone, dall’allora Presidente della Repubblica Saragat”.
Inutili sin qui i tentativi, l’ultimo avvenuto nel settembre scorso, di revocare queste onorificenze per lui e per gli altri responsabili delle atrocità e delle persecuzione perpetrate ai danni degli italiani. Ecco spiegato, anche con questa vergogna delle onorificenze, il motivo per cui quella pagina di storia è stata per decenni occultata, ma il “libro è stato aperto” e coscienza vuole che tutti ne prendano atto. Domenica prossima in occasione del “Giorno del ricordo” sempre CasaPound Noto deporrà un omaggio floreale ai piedi del Monumento ai Caduti in piazza Landolina, alle ore 11. Contestualmente alle iniziative che si tengono in tutta Italia il coordinatore locale del movimento politico CPI Andrea Insenga Azzaro ha inviato una richiesta scritta al Sindaco di Noto con cui si chiede che “venga esaminata dalla commissione consultiva per la denominazione delle vie cittadine, la proposta di intitolazione di un luogo pubblico ai Martiri delle Foibe” corredata da una raccolta di firme avviata nei giorni scorsi e che ha visto la pronta adesione di tanti cittadini.
Emanuela Volcan