Omicidio Giacona: ergastolo confermato per Battaglia
La corte d’assise d’appello di Catania ha confermato la condanna all’ergastolo a carico dell’ex pugile siracusano, Salvatore Battaglia, accusato dell’omicidio del ventisettenne portalettere cassibilese, Salvatore Giacona, la cui esecuzione è avvenuta la notte fra il 31 marzo e il primo aprile 2009 a colpi di pistola e per poi dare a fuoco il cadavere dentro la Y10 di proprietà delle vittima, trovata nelle campagne di contrada san Domenico a Cassibile. Per lo stesso omicidio, i giudici hanno, invece, ritenuto non dovere accogliere la richiesta di condanna avanzata dalla procura generale nei confronti di Antonino Linguanti, che era ritenuto il mandante di quell’uccisione. Lo stesso Linguanti, però, si è visto infliggere la condanna a 28 anni di reclusione, due in meno rispetto a quanti ne aveva irrogati la corte d’assise di Siracusa nel processo di primo grado, per l’omicidio di Salvatore Bologna, consumato nel febbraio 2002.
Nel caso di Battaglia, non ha retto la tesi sostenuta dalla difesa dell’imputato, rappresentata dall’avvocato Domenico Mignosa, il quale aveva puntato la sua arringa sull’assenza del movente, essendo venuta meno l’ipotesi di omicidio inquadrato nel regolamento di conti nell’ambito mafioso, come stabilito dal tribunale della libertà e confermato dalla corte di cassazione. E per tale motivo ha già preannunciato di volere ricorrere alla suprema corte “rappresentando l’illogicità della sentenza”.
Il coinvolgimento di Battaglia nell’omicidio Giacona è dovuto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Sebastiano Troia (condannato a 14 anni di reclusione con il rito abbreviato), il quale il 10 aprile 2009, dieci giorni dopo il ritrovamento del cadavere della vittima, si presentò ai carabinieri della stazione di Cassibile per autoaccusarsi degli omicidi Giacona e Bologna. In quella circostanza, Troia ha fatto i nomi di Linguanti quale mandante e dell’ex pugile nei panni dell’esecutore materiale del delitto, utilizzando una pistola calibro 7,65 che lo stesso Troia ha fatto trovare agli investigatori, nella zona di fonte Ciane, dentro una fossa, avvolta in una busta di plastica, avvolta in un panno. L’esame del dna, fato eseguire dal pm della Dda, Luigi Lombardo, risultò positivo per Battaglia: sulla busta di plastica furono rilevate le impronte digitali del carrozziere e sul panno tracce di sudore compatibile con il suo dna. In tutte le sedi giudiziarie Battaglia si è protestato innocente, sostenendo di essere rimasto vittima di un raggiro da parte di Troia, che, cliente dell’autocarrozzeria, si sarebbe impossessato del panno e della busta di plastica utilizzate da Battaglia. Peraltro, sul,a pistola ritrovata, non sono state riscontrate tracce.
Il collaboratore di giustizia Troia si è autoaccusato anche dell’omicidio di Salvatore Bologna, chiamando in correità Linguanti sia come mandante sia come esecutore materiale. Troia ha raccontato che la vittima, presunto referente del clan Aparo-Trigila-Nardo a Cassibile, è stata attirata in una trappola per essere strangolato da Linguanti con l’uso di un cavo elettrico, strappato a un ventilatore, mentre Troia aveva immobilizzato Bologna. Il cadavere fu poi trasportato e scaraventato in fondo a un cavalcavia nella zona del fiume Manghisi, nel territorio di Noto, non prima di averlo legato mani e pedi e la testa avvolta in una busta di plastica.
Al processo si sono costituiti parte civile i familiari di Salvatore Giacona, con il patrocinio degli avvocati Ezechia Paolo Reale e Alfio Caruso.