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Operazione Follow the money: sequestrati beni per 50 milioni di euro

La Dda di Catania ha assestato un altro colpo al clan Scalisi-Laudani. Quattro le persone arrestate, con un’ordinanza di cautelare notificata in carcere anche al boss Giuseppe Scarvaglieri, detenuto in regime di 41bis. Nell’inchiesta sono state coinvolti altri 21 indagati e il sequestro di beni per oltre 50 milioni di euro ritenuti frutto di investimenti in Sicilia, Lombardia e Veneto della “mafia imprenditoriale”. L’operazione prende il nome di ‘Follow the money’, portata a termine dal nucleo di prevenzione economica e finanziaria delle Fiamme gialle etnee. Sigilli sono stati posti a 17 società del settore dei trasporti con sedi a Catania ed Enna e di commercializzazione di prodotti petroliferi a Varese, Mantova e Verona; oltre a 48 beni immobili tra terreni e appartamenti tra Catania e Messina e conti correnti e disponibilità finanziarie. Durante le perquisizioni la guardia di finanza ha sequestrato oltre un milione di euro in contanti, orologi preziosi e auto di lusso, fra cui una Ferrari F458 del valore di 200mila euro.

 L’inchiesta della Dda della Procura etnea ha permesso di accertare che il boss Giuseppe Scarvaglieri, sebbene detenuto in regime di 41bis, il cosiddetto ‘carcere durò, abbia «continuato a rappresentare il punto di riferimento dell’associazione criminale, dirigendo dalla prigione l’attività del clan e ciò grazie soprattutto al nipote, Salvatore Calcagno (tra gli arrestati, ndr), al quale è stato riconosciuto un ruolo di assoluto rilievo nell’ambito del sodalizio quale portavoce dello zio sul territorio e supervisore degli investimenti». Le indagini del Gico del nucleo Pef di Catania hanno messo in luce l’ipotesi di concorso esterno nell’associazione mafiosa per due imprenditori catanesi: Antonio Siverino, detto il “Miliardario” e il figlio Francesco. Secondo la Dda etnea avrebbero «occultato il patrimonio di Scarvaglieri, con plurime intestazioni fittizie di beni e società illecitamente acquisiti». Allo stesso tempo, secondo l’accusa, il rapporto con la cosca sarebbe servito loro “a incrementare in maniera costante e considerevole le disponibilità economiche e finanziarie, potendo contare sugli ingenti e illeciti apporti di capitale derivanti dalle attività della consorteria criminale e sulla protezione offerta loro dallo stesso clan». Attraverso a questi contatti, accusa la Procura, i Siverino, che operavano nel settore della logistica e dei trasporti ad Adrano, «hanno progressivamente esteso sull’intero territorio nazionale le loro illecite attività imprenditoriali, gradualmente diversificandole e rilevando anche società operanti nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi in Veneto e Lombardia». 

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