Petrolchimico, inchiesta Ias: la Procura apre uno spiraglio per evitare la chiusura
L’intervento – di Concetto Alota –
Il ricatto occupazionale ha da sempre condizionato il controllo dell’inquinamento nel petrolchimico siracusano. Il rischio sbandierato è stato continuamente annunciato, ma la possibile perdita di oltre dieci mila posti di lavoro, ha sospeso ogni azione.
L’intervento deciso da parte della Procura di Siracusa con il sequestro degli impianti dell’Ias, la società che gestisce il depuratore biologico consortile di Priolo, l’ultima in ordine di tempo, ha provocato il coinvolgimento giudiziario di un nutrito numero di persone e di diverse società che operano nel Petrolchimico. Da un lato la puzza irresistibile, l’aria irrespirabile, l’inquinamento del mare e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi in mille modo e maniere, ha creato tumori, morte e dolore, dall’altro la preoccupazione della chiusura degli impianti e il danno all’economia, con oltre diecimila dipendenti disoccupati da un giorno all’altro.
Le intercettazioni e le analisi dei periti incaricati dalla procura lasciano poco spazio ai dubbi: per decenni, e ancora oggi, si è “compromessa la qualità dell’aria e del mare” dove insistono diversi agglomerati urbani: Siracusa, Città Giardino, Priolo, Melilli e Augusta.
Ma a sorpresa spunta una scelta da parte della Procura di Siracusa di alto profilo giuridico che riguarda proprio la vicenda giudiziaria sull’inquinamento e il sequestro degli impianti dell’Ias. I magistrati inquirenti sono ricorsi all’incidente probatorio. La richiesta, inoltrata al Gip del tribunale di Siracusa, tende a poter “valutare la possibilità tecnica di giungere a una definitiva interruzione dell’immissione dei reflui industriali, anche attraverso una graduale riduzione delle portate dei reflui con riduzione del carico inquinante, per comprendere se la consumazione dei delitti contestati sia ancora in atto”.
In caso di accettazione della richiesta da parte del Gip, saranno nominati i periti che dovranno rispondere ai quesiti elencati dalla Procura.
Le domande dell’Ufficio del pubblico ministero tendono a chiarire se l’impianto biologico consortile dell’Ias “abbia la possibilità strutturale e funzionale di depurare i reflui, quindi se i reflui in esso confluiti siano stati trattati in conformità alla normativa e alle Bat (best avaliable tecniques), non immettendo nell’ambiente carichi inquinanti maggiori di quelli consentiti”.
Si vuole, in pratica, riesaminare la quantità di sostanze inquinanti costituite da sostanze pericolose immesse dal depuratore dell’Ias nell’atmosfera e nell’acqua nel periodo oggetto dell’indagine, valutando anche la quantità di sostanze inquinanti immesse in eccesso rispetto a quelle ammissibili alla luce dei limiti imposti dalla normativa e dalle Bat.
I Pm vogliono fissare con l’esame dei dati di portata e di qualità degli scarichi già oggetto di misurazione, la quantità di sostanze inquinanti immesse in acqua dal depuratore in quantità eccedente quella che avrebbe potuto immettere qualora fossero stati imposti limiti allo scarico finale opportunamente ridotti.
I magistrati inquirenti intendono far valutare, a eventuali periti nominati, se le quantità di sostanze immesse con le emissioni diffuse in atmosfera sulla base dei dati rilevati, “siano tali da generare una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile della matrice aria ovvero un’offesa alla pubblica incolumità”.
Nelle richieste della Procura, si fa riferimento a “quali condotte avrebbero potuto o dovuto essere poste in essere da parte dei soggetti responsabili di Ias e dei grandi utenti industriali per interrompere l’immissione di sostanze inquinanti nell’impianto biologico consortile e la relativa tempistica attuativa” e quali condotte posso essere poste per “ridurre al minimo, anche proseguendo le attività produttive, l’impatto inquinante derivante dai reflui immessi nel depuratore”.
L’attenzione generale è stata in questi mesi rivolta proprio sull’Ias e sugli effetti a catena che provocherebbe, andando avanti nelle decisioni, ad uno stop alla depurazione su tutta l’area industriale siracusana. L’accelerazione che la Procura ha dato all’approfondimento delle indagini, viene letta sotto questa luce dagli industriali. L’incidente probatorio consentirebbe di avere tutti gli elementi per orientare le scelte dei pubblici ministeri “in particolare in relazione alla sussistenza delle condizioni per il permanere delle misure cautelari applicate”.
Insomma, la Procura intende chiarire se ci sono o meno le possibilità di riportare alla normalità gli impianti per scongiurare la chiusura del petrolchimico siracusano, con il conseguente danno alle industrie e il licenziamento delle maestranze, in una sorta di spiraglio di luce per non fermare gli impianti che potrebbe provocare una vera e propria catastrofe economica e sociale per il territorio siracusano e non solo.
Il reato contestato dalla Procura è quello del disastro ambientale aggravato in relazione all’inquinamento atmosferico e marino, riferito, scrivono i Pm, “tutt’ora in corso”; questo lascia presagire che l’inchiesta potrebbe avere dei risvolti in positivo per non creare un pericoloso vuoto economico e sociale. Infatti, le maestranze e le industrie gridano alla possibile drammatica vicenda della chiusura degli impianti, arrivando addirittura al quasi scontro istituzionale. Ma nessuno ha mai spiegato perché la vicenda è complessa, vitale, rimasta irrisolta per decenni. Ancora una volta si tenta di correre ai ripari e sistemare la partita, dando per scontato (a rigor di logica) che il petrolchimico non può essere smantellato dall’oggi al domani. Le aziende, le associazioni datoriale, i sindacati e tanti improvvisati pseudo ambientalisti, non si sono mai realmente impegnati per creare le condizioni per abbattere l’inquinamento ambientale di origine industriale, come prescritto dalla Comunità europea fin dal 1996 a tutte le aziende dell’Europa unita. Inquinamento che rispetto al passato si può considerare oggi limitato, ma per certi aspetti ancora attivo nella parte in cui la Procura di Siracusa ha indagato a fondo e sequestrato gli impianti inquinanti.
La conseguenza di tutto questo è stata che nel triangolo industriale siracusano si è continuato ad inquinare pesantemente e impunemente da sempre, mentre tutti avvertivano che acqua, aria e suolo del territorio erano attaccati da ogni tipo di contaminanti di origine industriale con preoccupanti conseguenze per la salute dei lavoratori e dei cittadini residenti.
Il petrolchimico siracusano è stato già più volte dichiarato una delle zone tra le più inquinate d’Europa, con un numero impressionante di tumori che hanno provocato malattie che non perdonano e malformazioni neonatali. Nessun mea culpa per le inaccettabili inadempienze nei confronti delle norme di legge che regolano la materia e che in qualche modo hanno costituito un mediocre alibi per le aziende. Tanto i danni saranno pagati dai cittadini, non dai veri responsabili di questi disastri ambientali.
In merito alla nuova inchiesta della Procura con l’accusa di inquinamento, da più parti “si chiede un tavolo di coordinamento in Prefettura che metta insieme imprese, deputazioni Nazionale e Regionale, Confindustria e sindacati per fare il punto sulla situazione venutasi a creare nella zona industriale dopo il provvedimento di sequestro dell’impianto consortile dell’Ias.
Insiste l’obbligatorietà, oltre ad un dovere sacrosanto per le organizzazioni sindacali e la politica, assieme o separatamente, per trovare soluzioni per non chiudere il petrolchimico e creare un vuoto economico e sociale con migliaia di disoccupati e tanta disperazione. Ma è anche vero che quando si gridava “all’inquinamento selvaggio”, tutti tacevano e sventolavano il “fazzoletto bianco”. Come per l’inquinamento provocato dal Cloro Soda (vedi inchiesta “Mare rosso”), come confermano i consulenti della Procura, con scarichi abusivi, allora come ora, in mare, nell’aria, in cielo e in terra e nelle tante discariche, e tutti sempre con bocche cucite, occhi chiusi e orecchie tappate.
Il triangolo industriale siracusano è, di fatto, uno spicchio di terra in cui è diventato difficile viverci. Lo scenario è stato per tanti anni davvero apocalittico. Nel gioco delle parti gli industriali non vogliono tirare fuori i soldi per le bonifiche in fondo al mare, sottoterra e sanitarie, da decenni con malati cronici di tumori e cancri che provocano morte e dolore nel silenzio generale, tra amianto e veleni sparsi in lungo e in largo, ma alla fine a pagare è stato sempre Pantalone, la comunità, i cittadini residenti, semplicemente colpevoli di essere nati qui, nell’inferno sulla terra creato dagli interessi e dal profitto, dalla speculazione delle industrie e dalla politica corrotta.
Sono state tante le industrie che nel passato hanno sfruttato il mercato per poi sparire nel nulla lasciandosi dietro gli scheletri delle fabbriche, disperazione e dolore, senza pagare i costi delle spese per le bonifiche.
È grave il silenzio da decenni in un territorio in cui non sono più quantificabili le spese per le bonifiche e la messa in sicurezza della falda acquifera, del mare inquinato a più non posso, dei terreni avvelenati per la presenza delle discariche di cui solo una ventina autorizzate e tante quelle abusive sparsi in lungo e in largo, nelle vecchie cave di pietra e nei terreni circostanti.
Le indagini ambientali hanno evidenziato un grave stato di contaminazione dei suoli, delle falde acquifere, sia sottostanti, sia superficiali. Contaminazione presente nei terreni dei parci serbatoi da prodotti idrocarburici surnatanti.
L’elenco è lungo, ma vale la pena sottolineare che nella buona sostanza la criticità sanitaria è rimasta tale e quale, ed anzi per certi aspetti si è aggravata. Colpa dei composti volatili pericolosi per la salute degli esseri umani, così come della vita in generale. Composti organici volatili pericolosissimi, la cui inalazione aerosol o vapori, sostanze a sua volta asservite sul particolato per ingestione di alimenti contaminati o attraverso la cute, hanno conseguenze devastanti sulle salute.
Intanto parte la mobilitazione per difendere la zona industriale e con essa l’occupazione in provincia di Siracusa, è stata attivata dai segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil, Roberto Alosi, Vera Carasi e Luisella Lionti, riuniranno tutte le forze sindacali presenti nella zona industriale siracusana per organizzare una mobilitazione generale che coinvolga i lavoratori, le altre categorie produttive, le Istituzioni e i sindaci oltre alla società civile.
“In un momento così delicato per l’intera area industriale colpita da sanzioni e inchieste giudiziarie – sottolineano Alosi, Carasi e Lionti – la risposta del sindacato non può che essere la piazza. Qui non si difendono soltanto 10 mila posti di lavoro, ma l’intera economia provinciale che rischia di collassare in caso di chiusura degli impianti.
Sarà una mobilitazione decisa – concludono Roberto Alosi, Vera Carasi e Luisella Lionti -, è arrivato il tempo in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità per assicurare ancora il futuro a questa terra.”
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