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Petrolchimico siracusano sotto l’assedio del fuoco “amico”: erbacce vicino alla discariche, terreni abbandonati e serbatoi d’idrocarburi

 

Brucia il territorio industriale siracusano. Il fuoco incenerisce ogni cosa. Stavolta ci siamo andati davvero vicino al temuto scoppio finale e al possibile effetto domino del petrolchimico; campagne per decine di chilometri in preda alle fiamme vicinissimo ai serbatoi delle raffinerie con dentro migliaia di tonnellate di benzine, gas, gasolio, petrolio, olii lubrificanti e le discariche di rifiuti che producono puzza, diossina e fumo nero velenoso.

Abbiamo fatto giro attorno alle raffinerie della zona industriale siracusana per scoprire che manca la prevenzione, così come abbiamo documentato con le foto. I parchi serbatoi con dentro milioni di tonnellate d’idrocarburi, gas, prodotti chimici gasolio e benzine sparsi in lungo e in largo per il petrolchimico, sono nella maggior parte dei casi circostanti da sterpaglie secche pronti a prendere fuoco; la stessa cosa per discariche di rifiuti sia urbani sia speciali e pericolosi, così come alcuni rifornimenti di benzina.

La scorsa settimana nel giorno della paura, alcune raffinerie sono state evacuate, stessa cosa per i dipendenti del depuratore consortile di Priolo gestito dall’Ias. Per fortuna sono intervenuti prontamente le squadre interne degli stabilimenti e i vigili del fuoco in forze. Uliveti, giardini, coltivazioni, capannoni, ettari di terreno in fumo, il fuoco ha distrutto e ogni cosa diventata, cenere. Grave che a distanza di pochi giorni si ripetono le stesse cose: incendi nelle discariche di rifiuti industriali e civili, terreni incolti, e ogni cosa che si trova davanti al fuoco. I sospetti verso i piromani ma anche sui pastori e i proprietari delle mandrie che pascolano indisturbati da decenni in lungo e in largo per i terreni, ma questo fatto è sopportato dai proprietari dei terreni, industrie comprese, perché evitano i costi della pulizia delle erbacce nelle campagne abbandonate, di fatto; il fuoco amico prepara l’erba fresca per la primavera. Nessuna prova, ma i dubbi dei residenti sono forti tanto da avere denunciato sempre ogni evento, puntando il dito verso i proprietari dei terreni che non si attivano in tempo per la pulizia obbligatoria per legge. “Per giunta – dicono i residenti delle contrade interessate ogni estate al fuoco – abbiamo denunciato da anni, ma non è cambiato niente, con l’aggravante che gli addetti alle istituzioni si arrabbiano se protestiamo per sensibilizzare un fatto gravissimo, come l’abbandono delle campagne e il pericolo di un disastro con il possibile effetto domino, come dimostrano le immagini”.

SOLDI FACILI CON DISCARICHE ABUSIVE, RIFIUTI PAGATI A PESO D’ORO E SMALTITI ILLEGALMENTE E DEPURATORI CHE NON DEPURANO

In Italia produciamo troppi rifiuti tossici ma abbiamo pochi impianti per il trattamento dei rifiuti cosiddetti pericolosi. Troppi i rifiuti che si trovano in una situazione critica e spesso devono essere smaltiti nel resto d’Europa, oppure illegalmente. Pochi inceneritori per distruggere i residui tossici sparsi in tutta Italia. Il più piccolo, ironia della sorte, si trova nel territorio industriale del petrolchimico siracusano, ad Augusta, il più grande d’Europa. E se un lato ci sono nella zona tante discariche per rifiuti tossici e nocivi, di fatto, sono insufficienti per una quantità di rifiuti che non si sa dove vanno a finire, compresi lei milioni di tonnellate dei fanghi della depurazione sia urbana sia industriale; ci sono poi il sottogruppo di rifiuti che si trovano sia in quelli urbani sia in quelli speciali sia comprendono i rifiuti pericolosi, che a sua volta necessitano di un’ulteriore tipo di gestione e trattamento.

Per quanto riguarda i rifiuti urbani, quelli classificati come pericolosi sono pochi, individuabili prevalentemente nelle pile scariche e nei medicinali scaduti, antibiotici, speciali e tanti altri ancora, anche se ci sono i contenitori dedicati sono molto ignorati e finiscono nelle discariche comuni, in mare, nella falda acquifera e nella filiera alimentare.

Parlando invece di rifiuti speciali pericolosi, l’elenco si amplia. Sono i rifiuti molto pericolosi, generati dalle attività produttive che contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze inquinanti. I micidiali rifiuti tossici e nocivi, che hanno bisogno di essere trattati per divenire, meno pericolosi possibili. La maggioranza dei rifiuti speciali pericolosi prodotta in Italia (quasi il 40%) deriva da attività industriali manifatturiere e del trattamento di rifiuti e risanamento, come la raffinazione del petrolio, le produzioni che utilizzano processi chimici, dei solventi. L’industria metallurgica Come l’ex Ilva di Taranto. La Produzione conciaria e tessile. Il settore medico e veterinario, gli impianti per il trattamento dei rifiuti solidi o per la depurazione dei reflui, sia civili sia industriali, gli oli esausti e tanto altro ancora.

Il Rapporto Ispra del 2018 correla che nel 2016 i rifiuti speciali pericolosi gestiti sono stati solo il 7% del totale dei rifiuti speciali. Solamente nove milioni di tonnellate di rifiuti speciali pericolosi su un totale di 141,3 milioni di rifiuti speciali. Un affaire di 21 mila miliardi l’anno, per la loro peculiare condizione, i rifiuti speciali pericolosi raramente sono riciclati e riutilizzati, ma sono, invece, soprattutto smaltiti e lasciati in discariche non adatte, infondo al mare, sepolti in terreni e nelle vecchie cave di pietra.

Lo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi negli ultimi anni, hanno raggiunto un preoccupante aumento. Il preoccupante fenomeno ha il suo epicentro nel Sud, dove si registra il 40 per cento delle migliaia di reati contro l’ambiente. Puglia, Basilicata, Sicilia e la Calabria sono i territori più attivi nello smaltimento illegale. E’ evidente come, in relazione alla pericolosità dei rifiuti, sussista un proporzionale rischio per l’ambiente e la salute pubblica. È il caso del fazzoletto tra Villasmundo e Melilli, nel triangolo dei Comuni di Augusta, Melilli Priolo, con 23 discariche di rifiuti e circa 70 abusive create a cavallo degli Anni Sessanta e Ottanta. Il rinvenimento di discariche abusive di rifiuti industriali tossici e nocivi interrati senza alcuna precauzione, e ricoperti con un sottile strato di terreno abbandonato o sopra il quale è stata avviata una coltivazione di agricola come niente fosse. Le poche analisi chimiche eseguite hanno sempre confermato la presenza di elevate concentrazioni d’inquinanti, così come nell’aria, nell’acqua, nel mare e nella terra.

Mafia & Rifiuti. Operazione “Mataurus” della DDA di Reggio Calabria, coinvolta anche una società di Melilli. Dopo l’inchiesta sulla Cisma della Dda di Catania, che ha mandato sotto processo i responsabili di un sistema a scatole cinesi sul traffico dei rifiuti pericolosi e il sequestro da parte della Procura di Siracusa della discarica in contrada Armiggi nel territorio di Lentini pochi giorni fa, si formalizza ancora una volta la facile penetrazione nel territorio siracusano di un sistema collegato all’ecomafia delle discariche di rifiuti d’ogni genere e natura. Sul traffico e gli interessi sui rifiuti, da sempre registrato nell’area industriale siracusana, si annota ancora una volta l’esistenza di un filo rosso che collega le discariche esistenti nel territorio siracusano con il sistema chiamato ecomafia in Italia. L’ultima operazione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, con il supporto di numerosi presidi tecnologici e degli investigatori della Squadra Mobile della Questura, del Comando provinciale e del Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri di Reggio Calabria, eseguiti congiuntamente a quanto contenuto nel decreto di Fermo di indiziato di delitto, a carico di sette soggetti, ritenuti responsabili a vario titolo dei delitti di associazione mafiosa (cosca Piromalli), concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di cui all’art.7 della Legge n.203 del 1991, e un decreto di sequestro preventivo d’urgenza relativo alle quote azionarie di società operanti nel settore della depurazione e trattamento delle acque, trasporto e compostaggio dei rifiuti speciali non pericolosi in Calabria e in Sicilia.

Nell’operazione sequestrate anche aziende siciliane, una società situata in contrada Sabbuci tra Augusta e Melilli. Per l’impianto per il trattamento e compostaggio dei rifiuti, più volte il Comitato dei cittadini di Contrada Sabbuci e dintorni, ha posto l’attenzione sulle dinamiche di quell’impianto, così per altri nella zona, al Prefetto, al Comune di Melilli e al Sindaco di Augusta, sulle criticità che l’intero territorio registra in merito al trattamento dei rifiuti senza mai aver trovato soluzioni idonee e risposte per la risoluzione dei problemi che rimangono da anni irrisolti, con gravi disagi per la popolazione residente. Lamentano lo stato di silenzio istituzionale a tutti i livelli. I rappresentanti del Comitato puntano il dito anche sul Libero Consorzio Comunale di Siracusa, che a loro dire, non ha voluto ascoltare i desiderata della gente residente per le tematiche insistenti per le tante discariche che operano nella zona, con tanti disagi, puzza, miasmi e il percolato che scorre copioso quando piove verso il mar nell’indifferenza generale. Informano, che il Libero Consorzio di Siracusa ha rilasciato il 14 settembre l’autorizzazione per l’impianto dell’attività di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi nel territorio di Augusta in contrada Sabbuci, alla modifica e l’autorizzazione allo scarico delle acque reflue e alle emissioni in atmosfera per gli impianti; provvedimento di adozione dell’Autorizzazione Unica Ambientale DPR n. 59/13. A loro dire, rimangono ancora tanti grossi problemi legati a puzza e miasmi che fuoriescono dalle discariche e dai siti di compostaggio nati come funghi nella zona, infettando e avvelenando terreni e animali al pascolo. Il Comitato di Contrada Sabbuci, Bagali e Baratti punta il dito sulle mandrie che in transumanza pascolano buona erba gratis dopo gli incendi e la rinascita di foraggio a buon prezzo, nell’indifferenza generale, con l’aggravante di aver denunciato tale siffatta condizione in tutte le salse e a tutti i livelli delle istituzioni, compreso il menefreghismo delle industrie che lasciano i terreni abbandonati con l’erba alta che d’estate prende fuoco, con il grave pericolo quando ciò avviene nelle vicinanze delle raffinerie, com’è già più volte accaduto.

Nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catania, il Gico della Guardia di finanza di Catania sequestrò beni per 50 milioni di euro riconducibili agli imprenditori Antonino Paratore e al figlio Carmelo (indicati come appartenenti a Cosa nostra e legati direttamente e prestanome di un boss), compreso il noto lido catanese “Le piramidi”.

17 i provvedimenti restrittivi, sette in carcere, sette ai domiciliari e tre misure interdittive furono eseguiti dai carabinieri tra Catania, Messina, Palermo, Siracusa, Roma e Brunico. Agli indagati furono contestati, a vario titolo il traffico illecito di rifiuti, estorsione e rapina, con l’aggravante del metodo mafioso, usura, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e traffico di influenze illecite.

L’attività di indagine, condotta dal 2012 al 2015, alla quale hanno dato riscontri dichiarazioni di collaboratori di giustizia, secondo la Procura di Catania ha consentito di far luce sull’operato, nel settore del traffico dei rifiuti, di Antonino Paratore e del figlio Carmelo – ritenuti legati al boss Maurizio Zuccaro della “famiglia” Santapaola-Ercolano – per il quale avrebbero agito anche quali prestanome.
L’inchiesta parte nel dicembre 2012, dopo il ritrovamento al largo della Toscana di bidoni contenenti prodotti dei catalizzatori esausti del petrolchimico, non più rigenerabili, di cui si occupava la Cisma Ambiente Spa, riconducibile alla famiglia Paratore. Il gruppo avrebbe fatto ampliare la discarica senza averne i requisiti e gestito in maniera illecita il conferimento che doveva essere limitato ai rifiuti di Siracusa e provincia e invece riceveva anche quelli di altre regioni italiane e il “polverino” dell’Ilva di Taranto.
Questo, secondo l’accusa sarebbe avvenuto “con la connivenza di pubblici funzionari della Regione Siciliana deputati al rilascio delle autorizzazioni, tonnellate di rifiuti realizzando ingenti guadagni e inquinando gravemente l’ambiente”. Lo avrebbero fatto “omettendo per anni di attivarsi, sebbene fossero stati informati dagli organi di controllo della condotta della Cisma che all’interno della discarica avrebbe operato in assoluto disprezzo delle autorizzazioni e della normativa ambientale”.

“In questo senso sarebbe – rileva la Procura di Catania – stato significativo l’apporto di un funzionario dell’Assessorato Regionale alle Infrastrutture e alla Mobilità di Palermo, che sarebbe divenuto lo strumento dei due Paratore per esercitare la necessaria pressione verso gli apparati della Pubblica Amministrazione per il raggiungimento dei loro fini illeciti”.

Tra le irregolarità emerse dagli accertamenti dei carabinieri del Noe, secondo l’accusa, anche la triturazione indifferenziata dei rifiuti, compresi quelli speciali, che venivano poi inviati a un inceneritore nel territorio di Augusta, che “Bruciando – ha spiegato il sostituto Raffaella Vinciguerra – veniva emessa diossina”.  

Accanto ai veleni smaltiti nei terreni e nel sottosuolo, aumentano a dismisura anche gli episodi d’inquinamento del mare. In seguito a numerose denunce da parte di Legambiente, il Ministero dell’Interno ha condotto una serie di indagini su affondamenti sospetti di navi al largo delle coste ioniche e allo scopo di accertare il loro eventuale carico di materiale radioattivo. Accertamenti che hanno confermato le ipotesi poiché sono stati misurati anomali valori di radioattività nelle acque circostanti una motonave affondata. Vecchie navi, coperte da premi di assicurazione per incidenti di questo tipo, che consentono all’organizzazione mafiosa di realizzare un evidente duplice affare. Al largo delle coste calabrese sono state trovate tante discariche marine, determinate dallo scaricamento in mare dei veleni pericolosi contenuti delle stive; la conferma nei rifiuti che restano impigliati nelle reti utilizzate per la pesca a strascico. Il Corpo Forestale dello Stato si appresta a fare un nuovo censimento delle discariche abusive presenti nel nostro paese con l’aiuto di un sofisticato strumento, messo a punto dal Cnr, che consentirà il rilevamento aereo delle discariche sfuggite ai controlli da terra e l’individuazione della zona a rischio. Il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, in particolar modo quelli industriali, sono tra i business illegali più redditizi. Sono i maggiori campi d’azione delle ecomafie, organizzazioni criminali, le cui attività arreca danni all’ambiente. Il tutto, di solito collegato alla corruzione, frode ed evasione fiscale, percorrono il territorio nazionale, da nord a sud, e tutte le fasi del ciclo dei rifiuti. La produzione, il trasporto e lo smaltimento. Può essere benissimo dichiarato il falso sulla quantità o la tipologia di sostanze da smaltire, il carico può essere dirottato o fatto sparire, oppure l’operazione può essere affidata a imprese che lavorano sottocosto, ben sapendo che i metodi da loro utilizzati difficilmente saranno a norma. Insiste poi, il crocevia di traffici internazionali di materie radioattive e rifiuti pericolosi provenienti da altri Paesi: anziché essere trattati e gestiti secondo le norme di sicurezza ambientale.

Il Mar Mediterraneo è la vittima prediletta del doppio atto criminale delle navi a perdere, dove in un colpo solo si truffa l’assicurazione e si fa piazza pulita di scorie tossiche e radioattive. Senza lanciare alcuna richiesta di soccorso, semplicemente senza motivo, le navi scompaiono dai radar insieme ai loro equipaggi e ai loro carichi sospetti. Fino ad oggi non si è mai recuperato nessuno dei relitti affondati nelle zone più profonde del mare e nessuno sa con certezza quali misteri nascondano.

Il territorio industriale siracusano è oggi uno dei più martoriati dall’inquinamento, oltre che piano zeppo di discariche. Una terra ignorata per decenni, che dopo 70anni dall’inserimento della prima raffineria, è oggi incomprensibilmente abbandonato più che mai; gli incendi sono ormai la norma per la mancanza della manutenzione dei controlli Un Piano regionale di bonifica che non ha mai garantito risultati concreti. Quello degli incendi è diventato l’emergenza; un grave problema che è stato sottovalutato dalle industrie così come dalle istituzioni locali, a cominciare dai comuni e nella maggior parte dei casi, o addirittura non previste le attività di prevenzione, oltre all’annosa questione delle bonifiche al palo de decenni; il piano di risanamento ambientale delle discariche, dei terreni, del mare, dei mille capannoni coperti da eternit, delle falde fortemente contaminate, le procedure di analisi nelle aree agricole e le bonifiche dei terreni sulle quali incombe, tra l’altro, il rischio d’infiltrazioni della mafia, come per la zona in cui sono nate discariche a iosa negli ultimi anni. Nonostante le rassicurazioni delle istituzioni, l’illegalità continua tra roghi, tombamenti e corruzioni, e i rischi sanitari per i cittadini sono sempre più evidenti.

Ma nello scenario appena descritto, ci sarebbe anche l’interesse diretto della mafia della depurazione che si muove come una vera e propria holding con forti agganci economici e istituzionali nello smaltimento del percolato prodotto dalle discariche dell’immondizia e dei rifiuti industriali dell’intera Sicilia e di cui si sono interessate diverse Procure distrettuali, come Trapani, Palermo, Messina e Catania. Percolato dirottato a forza verso la Calabria e che potrebbe essere smaltito benissimo in impianti della Sicilia, come quello gestito dall’Ias, con un costo irrisorio di pochi euro al metro cubo anziché i circa 300 necessari. Infatti, questa è una delle leve verso lo smaltimento illegale dei rifiuti o il semplice cambio del codice con il giro bolle e fatture “vuote” senza smaltimento e aspettando che la pioggia faccia il lavoro sporco verso il mare. Evidenze venute fuori in varie inchieste giudiziarie in Sicilia e in Calabria e di cui ha parlato spesse volte il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri.

Ritorna così d’attualità e apre un interrogativo di chi avrebbe deciso qualche anno fa d’interrompere il conferimento, la depurazione e lo smaltimento del percolato e dei rifiuti provenienti dalla molitura delle olive, dei pozzi neri, delle officine meccaniche e tanto altro, nei depuratori della Sicilia, compreso quello di Priolo Gargallo gestito dall’Ias. Tale siffatta condizione, già svelata in alcune inchieste da parte di varie Procure siciliane e calabresi per capire chi è stato ad organizzare il sistema di smaltire fuori dalla Sicilia i tanti milioni di metri cubi l’anno di percolato e reflui velenosi trasportati in Calabria e smaltiti con tariffe obbligate che produce una montagna di soldi con l’esorbitante rialzo fin dalla partenza, attraverso una viziata filiera che conformerebbe il connubio tra mediatori, trasportatori e gli impianti di trattamento in Calabria e in altre regioni oltre lo Stretto. Temi arrivati sui tavoli dei magistrati catanesi della Dda dal Noe dei carabinieri che hanno consegnato il frutto di un’indagine-gemella all’operazione descritta e denominata “Piramidi” sugli intrecci fra mafia, imprenditoria e pubblica amministrazione nel settore dei rifiuti e i dintorni in tutta la Sicilia.

Concetto Alota

 

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