Quei sette colpi che cambiarono la storia dell’Italia
Quei sette colpi di pistola che uccisero l’ex presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella cambiarono la storia dell’Italia repubblicana, insieme a quella del presidente della Repubblica appena eletto, Sergio Mattarella. Anche la Siracusa morotea e non solo esulta per l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Lo ricordiamo a Siracusa nel 1994 quando fondò il partito popolare italiano. In quella circostanza, a presentare il partito che fu di Giorgio La PIra, vi erano Ernesto Brancati e Emanuele Carta, tra gli altri che vissero l’esperienza della democrazia cristiana e che vollero abbracciare la causa di un moroteo doc come Mattarella.
Figlio di Bernardo Mattarella, uomo storico della Dc siciliana, fratello dell’attuale presidente della Repubblica, con istruzione religiosa, studiando a Roma al San Leone Magno, dei Fratelli maristi. Ricoprendo nell’Associazione Giovanile Cattolica incarichi nazionali da dove si dedicò alla politica nella Dc. Fra i suoi ispiratori ci fu Giorgio La Pira, avvicinandosi alla corrente politica di Aldo Moro. Divenne assistente ordinario di diritto privato all’Università di Palermo.
Negli anni ’60 divenne consigliere comunale di Palermo, eletto nella lista DC. Fu eletto nel 1967 deputato all’Assemblea regionale siciliana, nel collegio di Palermo, rieletto per due legislature (1971 e 1976). Dal 1971 al 1978 fu assessore regionale alla Presidenza in diversi governi. Fu eletto dall’Ars presidente della Regione nel 1978, alla guida di una coalizione di centro-sinistra con l’appoggio esterno del partito comunista italiano. Nel 1979 dopo una breve crisi politica, formò un secondo governo. Rappresentò una rivoluzionaria e nuova chiave di lettura con una strategica scelta di campo, in una politica impostata sul rigore e lontano dagli intrallazzi politico-mafiosi.
L’agguato ad opera della mafia fu deciso e mortale e avvenne il 6 gennaio 1980; entrato in auto insieme con la moglie, i due figli e la suocera al seguito per andare a messa, un killer si avvicinò al suo finestrino e lo uccise freddamente a colpi di pistola.
Inizialmente l’omicidio di Piersanti Mattarella fu considerato un attentato politico-terroristico, poiché subito dopo il delitto arrivarono rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neo-fascista. Pur nel disorientamento del momento, il delitto sembrava anomalo per le sue modalità, portando il giorno stesso lo scrittore, Leonardo Sciascia, ad alludere a “confortevoli ipotesi” che avrebbero potuto ricondurre l’omicidio, in modo comodamente riduttivo, alla mafia siciliana.
Le indagini giudiziarie furono difficili, anche se una chiara linea interpretativa del delitto si rileva negli atti giudiziari che portarono la Procura di Palermo a quella corposa requisitoria sui “delitti politici” siciliani: l’uccisione di Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana, dello stesso Mattarella, di Pio La Torre e del suo autista Rosario Di Salvo; il 9 marzo 1991 si formalizzò l’ultimo atto investigativo del giudice Giovanni Falcone, sottoscritto nella qualità di procuratore aggiunto della procura della Repubblica di Palermo, che puntava diritto sulla colpevolezza dei terroristi di estrema destra Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, membri dei Nar, quali esecutori materiali del delitto, in un contesto di cooperazione tra movimenti eversivi e mafia siciliana. L’ipotesi accusatoria formulata da Giovanni Falcone, il Fioravanti, che risultava presente a Palermo nei giorni del delitto, avrebbe goduto dell’appoggio di esponenti dell’estrema destra palermitana quali Francesco Mangiameli, dirigente siciliano di Terza posizione poi ucciso dallo stesso Fioravanti il 9 settembre del 1980, e Gabriele De Francisci, militante del FUAN, che avrebbe messo a disposizione un appartamento nei pressi dell’abitazione di Piersanti Mattarella.
Solo dopo la morte di Falcone nella strage di Capaci, l’uccisione di Mattarella venne indicata esclusivamente come delitto di mafia dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, che fino ad allora non aveva fornito indicazioni in proposito. Buscetta, in particolare, dichiarò che Stefano Bontade e i suoi alleati non erano favorevoli all’uccisione di Mattarella, ma non riuscirono a dire no a Salvatore Riina, peraltro di fronte alla decisione della “Commissione” che aveva deliberato a maggioranza su richiesta del Riina l’eliminazione del presidente della Regione che aveva cominciato a osteggiare fortemente gli interessi mafiosi-politici miliardari. Mattarella voleva portare avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale e per questo aveva iniziato a contrastare anche l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino per un suo rientro nel partito con incarichi direttivi; infatti era il referente politico dei Corleonesi e per queste ragioni, alla fine del 1979, Mattarella aveva deciso di chiedere al segretario nazionale del partito, Benigno Zaccagnini, il commissariamento del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana, perché aveva visto ritornare con forte influenza Ciancimino, il quale aveva siglato un patto di collaborazione con la corrente andreottiana, in particolare con l’onorevole Salvo Lima; nel 1995 vennero condannati all’ergastolo i mandanti dell’omicidio Mattarella: i boss mafiosi,Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Nenè Geraci; durante il processo, la moglie di Mattarella, testimone oculare, dichiarò inoltre di riconoscere l’esecutore materiale dell’omicidio nella persona di Giuseppe Valrio Fioravanti che tuttavia sarà assolto per questo crimine poiché la testimonianza della signora Mattarella e le altre testimonianze contro di lui e quella del fratelloCristiano e del criminale comune pluriomicida Angelo Izzo, non furono ritenute abbastanza attendibili. Gli esecutori materiali non sono mai stati individuati né risultano, a più di tre decenni dal delitto, piste investigative che facciano sperare nella possibilità di acclarare compiutamente l’accaduto.
Quella brutta e triste pagina di storia della politica italiana si è chiusa con l’elezione di Sergio Mattarella, primo siciliano a capo dello Stato repubblicano italiano, nella continuità sperata verso la democrazia, la libertà e la legalità, sullo spirito dei padri costituzionali e del fratello Piersanti, morto da presidente della Regione siciliana per difendere i siciliani e tutti gli italiani dall’oppressione della mafia.
Dopo la morte del fratello, Sergio Mattarella, iniziò il suo cammino e impegno politico per tenere alta l’asta della legalità e proseguire la battaglia iniziata dal fratello Piersanti verso la legalità in una Sicilia dove la mafia era da sempre in connubio con pezzi della politica nell’Isola e nei palazzi del potere romano. Quella brutta e triste pagina di storia della politica italiana aprì nuove speranze che si sono formalizzate con l’elezione di Sergio Mattarella, primo siciliano a capo dello Stato repubblicano italiano, nella continuità sperata verso la democrazia, la libertà e la legalità, sullo spirito dei padri costituzionali e del fratello Piersanti, morto da presidente della Regione siciliana per difendere i siciliani e tutti gli italiani dall’oppressione della mafia.
C.A.
La fonte di alcuni dei dati storici tratti da Wikipedia.