Relazione II semestre ’21 della Dia sulla criminalità organizzata in Sicilia
a cura di Concetto Alota –
Nella Sicilia occidentale cosa nostra si conferma strutturata in mandamenti e famiglie e improntata secondo schemi meno rigidi rispetto al passato per quanto riguarda la ripartizione delle competenze territoriali delle predette articolazioni mafiose. Nella provincia di Agrigento si continua a registrare una “zona” permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta “stidda”, che è riuscita con gli anni ad elevare la propria statura criminale fino a stabilire con le altre famiglie patti di reciproca convenienza. Trapani fortemente influenzata nel corso degli anni dalla mafia palermitana non può prescindere dal ruolo del latitante Matteo Messina Denaro. Egli nonostante la latitanza resterebbe la figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse, per la risoluzione di eventuali controversie e per la nomina dei vertici delle articolazioni mafiose anche non trapanesi.
Cosa nostra si conferma organizzazione tendenzialmente unitaria sempre più tesa alla ricerca di una maggiore interazione tra le varie articolazioni mandamentali in mancanza di una struttura di raccordo di “comando al vertice”. In tale ottica e considerata la costante inoperatività della commissione provinciale di Palermo, la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà.
Per la città di Palermo infatti numerose sono le scarcerazioni di importanti boss per espiazione della pena o perché posti in libertà vigilata ovvero alla detenzione domiciliare. A tali personaggi mafiosi si affiancano giovani criminali che forti di un cognome o parentela “di spessore” vanno a ritagliarsi nuovi spazi territoriali e criminali in funzione di supplenza dei boss detenuti. Tale situazione potrebbe generare incomprensioni tra la vecchia e la nuova generazione.
Nella Sicilia orientale ed in particolare nella città di Catania cosa nostra è rappresentata dalle storiche famiglie alle quali si affiancano altri sodalizi che, seppur fortemente organizzati e per quanto regolati secondo gli schemi tipici delle consorterie mafiose, evidenziano maggiore fluidità sul piano strutturale non configurandosi organicamente in cosa nostra. Le numerose attività repressive condotte nell’arco degli anni hanno determinato l’arresto dei vertici e creato dei vuoti nelle posizioni di comando.
Nelle province di Siracusa e Ragusa sono tangibili le influenze di cosa nostra catanese e in misura minore della stidda gelese nel solo territorio ibleo. Minimale continua ad essere il ricorso alla violenza da parte di tutte le organizzazioni mafiose. Le stesse infatti confermano la centralità del business che le vedrebbe, a volte contrapposte, a convivere sullo stesso territorio per la spartizione degli “affari”. Questa mafia sempre più silente e mercantilistica privilegerebbe, pertanto, un modus operandi collusivo-corruttivo nel quale gli accordi affaristici non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza.
A tale riguardo, storica è la vocazione di cosa nostra catanese di penetrare e di confondersi nel tessuto economico legale del capoluogo, in quello imprenditoriale e nelle dinamiche della gestione locale della cosa pubblica. Nel tempo anche le altre organizzazioni di tipo mafioso hanno perseguito la medesima strategia abbandonando il più possibile l’idea di affermarsi sul territorio mediante azioni eclatanti e destabilizzanti per la sicurezza pubblica. Si preferirebbe quindi individuare, all’interno delle amministrazioni pubbliche locali e delle professioni o delle imprese, soggetti di riferimento in grado di garantire il perseguimento dei propri interessi illeciti.
E’ la strategia mafiosa tesa a rafforzare l’interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali che, abbandonando il tradizionale ricorso a metodi cruenti per il controllo del territorio, privilegia l’approccio corruttivo. L’azione spregiudicata e violenta del passato ha peraltro ceduto il passo alla necessità di adottare strategie silenti di contaminazione e di corruzione. Accanto al controllo del territorio, che resta comunque un’esigenza primaria dell’organizzazione, il percorso intrapreso dalle mafie è quello di inserirsi nel panorama sociale ed economico di riferimento “coinvolgendo” la pubblica amministrazione tramite manovre corruttive. In questo scenario di stagnazione economico-produttiva che risente ancora della crisi pandemica e che aggrava le aspettative soprattutto della popolazione giovanile trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del PNRR destinati all’Isola.
Sempre alta rimane l’attenzione nei riguardi dell’indebita percezione dei contributi comunitari per il sostegno allo sviluppo rurale. Frequenti sono le attività di contrasto all’attività criminale riconducibile alla c.d. mafia agricola nel contesto della quale si è delineata l’attività volta all’acquisizione di contributi pubblici per l’agricoltura a seguito di false dichiarazioni e frodi in danno dell’U.E.
Nell’entroterra siciliano, infatti, il comparto agro-pastorale rappresenta il settore di traino per l’economia che di conseguenza attira l’interesse delle consorterie mafiose che si avvarrebbero di prestanome e professionisti compiacenti. Il fenomeno continua a manifestarsi in tutta la sua gravità interessando le aree agro-pastorali del cuore della Sicilia e deviando ingenti flussi finanziari che, di fatto, risultano sottratti al reale sostegno delle attività produttive ed allo sviluppo del comparto che è destinato quindi a divenire sempre più marginale. Quelle appena descritte sono solo alcune delle manifestazioni di una “mafia affaristica” che si avvale di società di comodo e di imprenditori compiacenti o assoggettati e che continua a confermare il proprio interesse su settori nevralgici per l’economia dell’Isola.
Tuttavia, malgrado la più attuale linea d’azione di cosa nostra sia quella di ridimensionare il ricorso alla violenza per le ovvie ragioni suddette, la DIA, attraverso le sue articolazioni centrali e territoriali, già da tempo, sta eseguendo mirate attività investigative sulle “stragi siciliane” del 1992 e sulle cd. “stragi continentali” del 1993-1994, su input di specifiche deleghe ricevute dalle competenti Autorità giudiziarie del territorio nazionale. L’evasione delle numerosissime deleghe assegnate dalle Procure Distrettuali ha richiesto, frequentemente, l’impiego diretto anche del II Reparto DIA.
Complessivamente, da oltre 30 anni, sono impegnati in tali indagini le risorse di ben cinque Centri Operativi e del II Reparto. In particolare, il Centro Operativo nisseno, nel contesto delle indagini relative alla strage di via Mariano d’Amelio a Palermo in cui il 19 luglio 1992 persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti di scorta, sta svolgendo particolari approfondimenti investigativi sulle dichiarazioni di un ex collaboratore di giustizia che ha riferito ai magistrati di aver preso parte alla strage, sia nelle fasi preparatorie, sia in quella esecutiva.
Le investigazioni condotte dall’articolazione nissena sono state improntate alla ricerca di riscontri sulle dichiarazioni rese dal collaboratore circa la sua asserita e non provata presenza a Palermo, nonché sulla sua conseguente partecipazione alle fasi finali dell’attentato. L’analisi delle attività di contrasto ha anche confermato la tendenza delle organizzazioni mafiose siciliane ad avviare accordi o connivenze per l’acquisto di sostanza stupefacente in stretta sinergia con narcotrafficanti calabresi e, contestualmente, sull’asse Colombia-USA-Italia, come documentato dall’operazione “Stirpe e tentacoli” eseguita a Palermo dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri.
Nel luglio 2021 con l’arresto di 16 persone, compreso il reggente del mandamento di Ciaculli, struttura criminale del capoluogo siciliano. Non va sottaciuto poi il forte legame di cosa nostra con la criminalità Nord americana. Pregresse attività d’indagine avevano già documentato una storica e sempre attuale centralità dei rapporti con la cosa nostra di New York. Tali aspetti sono venuti alla luce anche nel semestre in esame grazie agli esiti dell’operazione dei Carabinieri “Crystal Tower” che il 14 luglio 2021 ha portato all’arresto di alcuni esponenti della famiglia palermitana di Torretta (mandamento di Passo di Rigano Boccadifalco) facendo emergere solidi collegamenti tra i membri della famiglia di Torretta con quelli della famiglia Inzerillo che, fino all’avvento dei corleonesi capeggiati da Riina Salvatore, avevano retto il mandamento di Passo di Rigano, fra l’altro, gestendo, lungo l’asse Palermo – New York, ingenti traffici di stupefacenti.
L’interesse delle consorterie mafiose siciliane fuori regione si rivolge (in particolare con riferimento alle presenze in Lazio, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Molise) prevalentemente all’infiltrazione nell’economia con la commissione di frodi fiscali e riciclaggio di capitali.