Cultura

Sant’Agata è Catania, Catania è Sant’Agata

Il 5 Febbraio del 251 una giovane fanciulla perdeva tristemente la vita. Eppure, quella ragazza, sarebbe presto diventata celebre in tutto il mondo e la sua città l’avrebbe per sempre venerata cingendola d’immenso amore. Perché Sant’Agata è Catania, Catania è Sant’Agata.

«Non valser spine e triboli,

non valsero catene;

né il minacciar d’un Preside

a trarla dal suo Bene,

a cui dall’età eterna

fu sacro il vergin fior».

(“Ode, per il 5 Febbraio 1859” – Mario Rapisardi)

Il profondo legame con la Patrona catanese, Vergine e Martire, affonda le sue radici nella notte nei tempi. Tra i documenti e le fonti storiche più antiche riguardanti la sua agiografia, è certamente degna di menzione una “Passio” redatta intorno all’anno 1000 nei pressi della cittadina transalpina di Autun (nell’odierna Regione della Borgogna-Franca Contea), conservata all’interno della Bibliothèque Nationale de France.

La giovane Agata, di nobile famiglia, visse le turbolenti fasi storiche delle violenti persecuzioni contro i cristiani al tempo dell’Imperatore Gaio Messio Quinto Traiano Decio. Ciascun individuo sospettato di Cristianesimo fu costretto ad offrire dell’incenso ad una qualsiasi divinità romana, Imperatore compreso. La validità di questo editto venne estesa su tutto il territorio romano, colpendo indifferentemente i membri delle diverse comunità cristiane, compresi i loro beni.

Fuggita in un primo momento con la sua famiglia a Palermo, nel quartiere denominato Guilla, al suo ritorno forzato nel centro etneo la fanciulla subì i vari tentativi di corruzione, le pressioni nonché le sevizie del Proconsole romano Quinziano. Durante le brevi fasi del processo e la detenzione in carcere, la giovane donna fu ripetutamente vittima di torture nel luogo in cui oggigiorno sorge la Chiesa di Sant’Agata la Vetere (la prima Cattedrale di Catania fino al 1094). Subito il cruento strappo delle mammelle, la nobile Agata si imbatté nel supplizio dei carboni ardenti – nella di Chiesa di San Biagio o, altresì, Chiesa di Sant’Agata alla Fornace è possibile osservare le pietre e la terra utilizzate in quel terribile frangente – per poi spirare all’interno della sua cella. Da quel momento, le Sacre Reliquie della giovane Vergine e Martire furono gelosamente custodite dal clero catanese.

Nel 1040 le stesse furono però trafugate dal Generale bizantino Giorgio Maniace, portandole a Costantinopoli. Rimasero lì fino al 1126 quando due soldati (Gisliberto e Goselmo) sottrassero le Reliquie per poi riconsegnarle il 17 Agosto, nel Castello di Aci, al Vescovo di Catania Maurizio. La leggenda narra che, nelle ore più tarde, i cittadini uscirono in camicia da notte dalle loro case per assistere al rientro delle Sacre Spoglie nella città etnea: dai loro indumenti deriverebbe l’odierno “saccu” indossato dai devoti (di colore bianco, a simboleggiare la purezza) con la “scuzzitta” sul capo (di colore nero, ad indicare l’umiltà). Recenti studi, ancora, ricondurrebbero il vestiario dei fedeli e tantissime altre sfaccettature dei Festeggiamenti all’antico culto di Iside: divinità egizia che progressivamente, in Sicilia, venne a sua volta associata alla figura della dea mitologica Persefone/Proserpina.

«Lucia sorella mia, Vergine consacrata a Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere? Infatti la tua fede ha giovato a tua madre ed ecco che è divenuta sana. E come per me è beneficata la città di Catania, così per te sarà onorata la città di Siracusa».

(Breve discorso che Sant’Agata avrebbe rivolto in sogno alla giovane siracusana Lucia, assopitasi durante la preghiera nel luogo di sepoltura della Vergine e Martire catanese – 5 Febbraio 301)

Dal velo alle eruzioni dell’Etna, dai terremoti alla peste: fede, tradizione e folklore si mescolano alla storia, alle vicissitudini ed alle tragedie di una Catania che, nei momenti di maggior difficoltà, ha sempre invocato la protezione della sua Santa Patrona.

L’uscita della carrozza del Senato, le candelore (attualmente sono tredici), “u focu da sira o’ Tri” (trad: il fuoco della sera del Tre), la Messa dell’Aurora e l’apertura del sacello, il giro esterno ed interno, i luoghi del martirio, le “‘ntuppatedde” (dal XVII secolo fino al 1870 alcune donne di vario ceto, prive della loro libertà, si avventuravano liberamente per la città durante i giorni di festa vestite di nero e con il volto coperto; oggi indossano invece un abito bianco e sventolano un fiore rosso, in segno di rivendicazione dei loro diritti) si indossano  di bianco i ceri accesi, le giaculatorie e le grida dei devoti, il Fercolo argenteo (l’originale fu distrutto durante i bombardamenti del 17 Aprile 1943 e successivamente ricostruito da Giuseppe Barresi tramite la documentazione della “Vara” precedente ma soprattutto recandosi nella vicina Lentini, ove fu possibile analizzare e prendere spunto dal Fercolo argenteo di Sant’Alfio realizzato tra il 1852 e il 1854 dall’argentiere etneo Emanuele Puglisi il quale a suo tempo, per la creazione della “Vara” lentinese, si era proprio ispirato a quella originale della Santa catanese) e il Busto Reliquiario (al suo interno contiene una parte del cranio, del torace e alcuni organi interni) realizzato nel 1376 dallo scultore ed orafo senese Giovanni di Bartolo, la salita dei Cappuccini e la salita di Via Di Sangiuliano, il canto delle Suore Benedettine, gli arancini e “i minnuzzi ‘i Sant’Ajta” (trad: le cassatelle di Sant’Agata, le cui forme rievocano proprio il seno di una donna), le olivette e molto altro ancora.

«Nun c’è ventu, nun c’è acqua, né bufera né timpesta

casca u munnu ma a Frivaru ogni annu si fa festa.

Si fa festa alla Patruna di Catania, virginedda…

marturiata finu a morti, sposa a Diu, nobili e bedda […]».

(Piccola parte di una poesia contenuta all’interno della silloge “Cchiù luntanu di ‘na stidda”- Francesca Privitera)

Le Celebrazioni Agatine rappresentano la terza Festa della cristianità più grande al mondo: il 3-4-5 Febbraio le vie di Catania accolgono circa un milione di fedeli provenienti da ogni angolo del globo. A prescindere dal credo di ciascuno, dunque, è bene ribadire l’importanza di un evento che supera la sua profondissima identità religiosa – da lentinese comprendo bene il legame viscerale che intercorre tra le città e i rispettivi Santi Patroni – e che merita di trasformarsi ogni anno di più in uno straordinario biglietto da visita per la Sicilia e per l’Italia nel suo intero.

Quando la pandemia che affligge il mondo intero sarà terminata, i catanesi potranno riabbracciare la loro giovane fanciulla. Sono certo che ricorderanno questi giorni di Febbraio. Ricorderanno questa Festa che non è Festa. Ma soprattutto, ricorderanno che dal nulla sono riusciti a schiudere il tutto: nel solco di quel coniugio inscindibile, di quella devozione radicata e di quell’amore millenario nella loro Santa Patrona tutelare.

Emanuele Grillo

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