Siracusa, Canale Galermi: quando il progresso deturpa l’archeologia
Il confronto con altri simili lavori lo elegge a una delle opere di ingegneria idraulica più imponenti del Mediterraneo. L’essere ancora funzionante dimostra la genialità, l’intelligenza e la sagacia dei suoi antichi realizzatori. Lo stato in cui l’uomo lo ha ridotto gli ultimi 4 km mette a nudo il livello di ignoranza e la mancata sensibilità di chi lo ha gestito, direttamente o indirettamente, negli ultimi 50 anni. Mi riferisco al Canale Galermi, l’acquedotto greco costruito nel 480 a.C. dagli schiavi cartaginesi per volere del tiranno Gelone.
Un acquedotto plurimillenario quindi, ancora perfettamente funzionante, che capta una parte delle acque del torrente Calcinara, a Pantalica nord, e le porta fino al teatro greco di Siracusa. Da lì, un tempo, partiva la ramificazione per tutta la Pentapoli, per risolvere l’annoso problema dell’approvvigionamento idrico. Oggi le acque, previa autorizzazione del Genio civile, vengono utilizzate solo per irrigare i terreni che attraversano. L’acquedotto, lungo 25 km, è per 8 km in galleria, e per 17 in trincea. Ha una portata massima di 500 l/sec. e una pendenza del 4,25‰ calcolata e realizzata con meticolosa perfezione: dall’inizio alla fine vi sono 113 m di dislivello. Definito dal Fazello Conductus pulchrae foeminae, (saja della Bella Femmina), l’acquedotto fu distrutto dai romani nel 212 a.C., e ristrutturato nel 1576 a spese del barone sortinese Pietro Gaetani in cambio della possibilità di usare le acque per far funzionare i suoi quattro mulini costruiti nell’area del teatro greco.
Potenziato nella prima metà del Novecento con l’apporto di altri corsi d’acqua, l’acquedotto inizia nella bassa valle del torrente Calcinara, si immette subito dopo nella roccia sinistra della valle dell’Anapo, attraversa il monte Climiti, perviene alla frazione di Belvedere e prosegue in trincea con coperture a lastra fino al Colle Temenite, sopra il teatro greco di Siracusa. Dopo le mura dionigiane, andando verso il centro abitato di Siracusa a attraversando il villaggio Miano, è facile scorgere il percorso sotterraneo dell’acquedotto greco per la presenza, a destra, dei pozzetti di ispezione, ben allineati e posti a una distanza regolare di circa 50 m l’uno dall’altro. I pozzetti dunque visualizzano il percorso in superficie di questo straordinario sistema idraulico sotterraneo, che rappresenta una ulteriore prova della grande ingegnosità dei greci. Proprio per l’importanza, l’utilità e la grandiosità dell’opera, la superficie attraversata dal Galermi è protetta da una fascia larga m 5,5. È una sorta di sentiero. Riconoscendo i pozzetti, gli ultimi 4 km, anche se non segnalati da alcun cartello turistico, sono visibilissimi: il canale percorre il viale Epipoli, la via Enrico Di Luciano, la via dell’Acquedotto e la via Luigi Mauceri, per giungere alla terrazza del Teatro Greco. La valorizzazione di una fascia ben delimitata come quella del Galermi non se la sarebbe lasciata sfuggire nessuno. Anche le menti più mediocri o distratte avrebbero pensato di realizzarvi “il sentiero del Galermi”, avrebbe avuto l’idea di creare una passeggiata pedo-ciclabile di valenza culturale, sistemandola a verde, ripristinando i muri a secco, collocando pannelli descrittivi, aree di sosta con panchine sotto gli alberi, e attrezzandola per la fruizione.
Si, fantascienza! Amministrazioni e soprintendenze hanno fatto ben poco per valorizzare gli aspetti archeologici e paesaggistici di questi 4 km di fascia protetta. Ancor meno hanno fatto per difenderla. La striscia di rispetto è stata vissuta come un ostacolo allo sviluppo urbanistico, peraltro avviato abusivamente (ma tollerato dalle istituzioni) negli anni 70 dal geometra Miano presso il viale Epipoli. Quella che poteva diventare una opportunità è stata vissuta come un ostacolo. L’unicità ingegneristica e archeologica l’hanno strozzata in più punti per affiancarvi strade, marciapiedi, abitazioni e finanche un distributore di carburante e un supermercato. La distanza che hanno lasciato tra i pozzetti e l’asfalto/cemento, in alcuni punti si è ridotta a pochi decimetri. Piuttosto che spostarsi hanno preferito invadere la fascia del canale plurimillenario. E quello che è ancora più inaccettabile è che nessuno li ha fermati e che nuove costruzioni di cemento e asfalto sono state affiancate al monumento fino a 10 anni fa (vedi v. Enrico Di Luciano).
Questa leggerezza la stiamo pagando e continueremo a pagarla. Il parco archeologico di Siracusa, recentemente istituito, avrebbe potuto giovarsi della possibilità di collegare con un sentiero i due estremi: a oriente l’area archeologica della Neapolis, a occidente il Castello Eurialo con le mura dionigiane. Il collegamento sarebbe stato possibile proprio grazie alla fascia di protezione del Canale Galermi. Nei tratti ancora salvi, il sentiero presenta già alcuni alberi di ulivo, bagolaro e altre essenze mediterranee che, opportunamente potate, diventerebbero subito le prime zone d’ombra. L’occasione invece è stata arrogantemente bruciata! Tutti amano la natura e i monumenti, ma quando l’uomo deve fare profitto i vincoli di tutela, se va bene, vanno in secondo piano. Spesso finiscono anche in terzo e quarto.
Fabio Morreale Natura Sicula