Siracusa, lettera di pre-licenziamento per i dipendenti della Siam
L’aforisma che gli uomini soffrono al pensiero di perdere le cose in questo mondo, è il frutto del ragionamento filosofico che pone Buddha nella sua lunga sequela di ragionamenti, per regolare il suo pensiero “religioso”. Si può aggiungere, senza smentita, che gli uomini soffrono di più al pensiero di perderli. Si parla di cose, ovviamente, ma la paura più forte è oggi la perdita del lavoro, e con esso la dignità, la tranquillità, tutte le cose, a volte la famiglia, ma anche quella di essere uomini prima ancora della definizione “umani”.
Le migliaia di posti lavoro che vanno in fumo, sono il frutto di uno sbilanciamento tra le cose che potevano essere fatte dalla classe politica e le cose che non sono state fatte, da chi è stato deputato dal popolo al nobile compito del governo, oppure, peggio ancora, da chi ha sfruttato i propri simili per arricchirsi. Si tratta perciò di vittime innocenti, che senza alcuna colpa, si sono ritrovati nel baratro buio della disoccupazione, con l’aggravante di non aver avuto la possibilità della difesa preventiva perché colpiti alle spalle. Nell’era post industriale, si può capire, ma non accettare la perdita del posto di lavoro, e nel caso dei lavoratori della Sogeas prima, Sai8 dopo e Siam oggi, il ruolo del destino è stato invertito dalla decisa volontà criminale, di chi ha voluto approfittare in una mera condizione di lavoro-impresa, per lucrare, sicuro di poter gestire ancora per tanti anni un connubio autorizzato dalla legge in una “gara” d’appalto, con l’aggravante che si tratta di un servizio pubblico indispensabile, tanto da dover ricorrere allo stratagemma della precettazione, per non formalizzare una denuncia penale a carico di chi è preposto a tale compito istituzionale: vedi Sogeas e Sai8.
Pur tuttavia, occorre rimandare indietro il tempo e guardare il passato per capire il presente, così come il futuro di tutta questa sinistra e intricata vicenda. Appare chiaro che chi sfruttò la prima e la seconda occasione storica per la gestione del Servizio idrico, ora è tentato di voler sfruttare anche la terza (non c’è due senza tre); ma ciò non è un fatto individuale di qualcuno, ma si trattò, allora come ora, di regolare nella vita civile di una comunità la distribuzione della fonte della vita, come l’acqua, la gestione della rete fognaria; servizi entrambi legati a doppio filo per la salvaguardia della salute pubblica. Ma anche questa volta, si è trattato o di un “aborto terapeutico” mal celato da fatti e circostanze che sono al vaglio della magistratura inquirente siracusana e di cui la conclusione istruttoria del fascicolo d’inchiesta è ormai in dirittura d’arrivo; ma non è detto che ci siano necessariamente degli incolpati tra quelli già indagati; giusto per il garantismo contemplato in uno Stato di diritto.
La morale generale impone che sfruttare strumenti primari, come speculare sul cibo, l’acqua, la salute, la vita e la morte degli esseri umani, è un reato universale senza confini, ma qui in questa nostra terra antica quanto famosa, non è possibile che si possa accettare tanto con leggerezza e semplicità, fino a mettere l’uno contro l’altro, come nella guerra dei poveri, e senza che i responsabili, che agirono certamente in consorteria, chiamatela politica o come volete, oggi sono tutti liberi di parlare, difendersi, ma sopratutto con le tasche piene di soldi della comunità, abbandonando oltre 150 padri di famiglia compreso l’indotto al crudele destino dei vinti, del niente e tradendoli all’improvviso e per ben tre volte.
Occorre chiedersi se tutto ciò è stato studiato a tavolino, come un gioco dove non sono i soldi, l’oggetto della scommessa, ma tante famiglie con donne, bambini e anziani, buttati in mezzo alla strada come delle monete sul tavolo “verde”.
L’impressione, ancora sinistra, oggi appare come quella di chi vuole ritornare sul luogo del delitto, con l’aggravante di separare il destino di tutti i “sacrificati” i dipendenti ex Sogeas, ex Sai8 e ora Siam, attraverso il ricorso di una “condizione” dettata da esigenze di mera politica, senza considerare che il lavoro è un diritto garantito, in primis dall’universale umana condizione e poi dalla Costituzione, non è onesto, né corretto politicamente: occorre chiarezza, senza la solita tattica sibillina. Se non ci sono altri interessi nascosti, non si doveva arrivare alle farsa dell’invio delle lettere di licenziamento, visto e considerato che non c’è altra strada se non quella di rinnovare il contratto. Questo succede quando la mano sinistra non conosce l’intenzione e della mano destra: la Regione Sicilia, i Comuni e il rispetto del sindacato dei lavoratori che rimane tra due i fuochi, mentre manca del tutto l’attenzione del Consiglio comunale che doveva già aver affrontato la vicenda. In fondo si tratta di un servizio pubblico vitale per le due comunità e non di un gioco da far entrare nella scena velenosa della politica locale diventata una rissa, senza l’onore, la dignità e la nobile “Politica” del dialogo e delle idee, anziché della sola forza dei numeri.
Concetto Alota