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Siracusa, “Romanzo Siciliano” e la mafia che fu…

A voler forzare il segreto che nasconde le riprese girate a Siracusa sul film “Romanzo Siciliano”, in onda su Canale 5, troviamo subito nei motivi che nessuno in Sicilia accettò la presenza a suo tempo una fiction televisiva per evitare il parallelismo con la mafia. Persino l’omertosa Palermo evitò la presenza della scomoda troupe, ma nessuna esitazione per Siracusa che accetta senza remore, ed anzi la vicenda merita di essere ripetuta, a prescindere dalla critica qualunquistica di questi giorni, che vuole rimarcare la nota culturale che qualsiasi cosa qui da noi è sbagliata, senza voler entrare nella validità del racconto criminale, nella bravura o meno degli attori e del regista, e nemmeno nella qualità delle immagini.

E non è affatto vero che Siracusa non è mafiosa; già nel passato, così come a Palermo, Caltanissetta, Catania, Trapani e Agrigento, Enna, Messina e Ragusa, hanno registrato attività mafiose, come Siracusa.

Non dimentichiamo che negli Anni Ottanta la città di Archimede assurge agli onori della cronaca, per la presunta partecipazione degli omicidi del generale dalla Chiesa e della strage della Circonvallazione di Palermo, dove muore il boss catanese Alfio Ferlito e il carabiniere siracusano Salvatore Raiti, insieme a tutti gli altri che trasferivano il detenuto nemico giurato del clan catanese di Santapaola.

E Siracusa raggiunge la vetta dell’attività mafiosa nel 1981 con l’esplosione di ben 40 bombe intimidatorie in appena trenta giorni, con riferimenti al racket delle estorsioni, ma anche nell’intimidazione forte contro i magistrati impegnati nella lotta alla mafia, compresa la sezione istruttoria del tribunale di Siracusa con due ordigni, uno nell’auto del giudice istruttore Fabiano e l’altra all’interno dell’androne del palazzo di giustizia di piazza della Repubblica dove una cinquecento saltò in aria creando il panico in tutta la città, che fino a quel momento era considerata “babba”, mentre il sostituto procuratore Dolcino Favi si salva per miracolo dall’agguato preparato dalla mafia, solo perché i carabinieri sventano il piano criminoso in tempo; e ancora, due conosciutissimi avvocati penalisti sono nell’elenco delle vittime di una guerra tra i clan che insanguinò le strade del territorio siracusano, con circa trenta morti ammazzati. E cosa dire degli attentati negli anni Ottanta nell’abitazione di Santi Nicita e nella segreteria congiunta con l’onorevole Foti; e ancora dell’attentato mortale ad un consigliere comunale socialdemocratico, dell’intimidazione al Sindaco Gilistro e tutta una serie di crimini legati alla speculazione edilizia. Anche l’allora ministro degli Interni Oscar Luigi Scalfaro, nella relazione annuale al Parlamento, annota la condizione mafiosa dei clan siracusani, dichiarando che la situazione è grave e che occorre vigilare per evitare il proliferarsi del grave fenomeno. Ma da lì in poi, Siracusa ridiventa uno scenario criminale con morti ammazzati fino agli Anni Novanta, quando i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, con la collaborazione e l’avvento massiccio dei pentiti, decapitano i clan con oltre 80 arresti e con la celebrazione dei processi con condanne pesanti variabili e una decina di ergastoli. È chiaro che disturba l’etichetta di città mafiosa, ma questo non può essere collegato al film girato a Siracusa per motivi di opportunità, anche di ritorno d’immagine, secondo la regola: parlate di me, anche male ma parlatene.

Concetto Alota         

     

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