A Siracusa come in tutta la Sicilia: ospedali da tormento e pronto soccorso da incubo
In Sicilia gli ospedale sono da incubo. Entriamo all’ospedale Umbertio I di Siracusa. Una fila interminabile di pazienti al pronto soccorso. Un’organizzazione non consona alle effettive necessità dell’utenza giornaliera; troppi pazienti e poco personale oltre ai locali angusti e insufficienti. I collegamenti con i reparti non sono del tutto coordinati: troppo il lavoro da svolgere. È il pomeriggio di Lunedì 24 aprile 37 iscritti nei vari codici in attesa di entrare per essere visitati, ma il continuo arrivo di pazienti feriti o che stanno male allunga i tempi fino a oltre cinque ore. Assistiamo inermi all’estenuante attesa di donne, bambini e anziani che diventa una tortura. Lo smog delle auto e delle ambulanza in arrivo soffoca i pazienti; il fumo delle sigarette dei presenti davanti all’entrata entra all’interno della sala d’attesa; il bagno non si chiude; ai reparti ti accompagnano solo se sei immobile in barella, altrimenti o fai da te o rimani in eterna attesa; non c’è personale a sufficienza per l’assistenza ai pazienti che arrivano con le auto private. La confusione è a volte totale.
Pronto soccorso a parte, la Sanità a Siracusa rappresenta uno dei tanti disastri della Sanità in Sicilia che è sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto dei cittadini che devono curarsi in un territorio abbandonato in termini di attività di prevenzione e di screening specie per le patologie tumorali (vedi zona industriale e dintorni), l’attività generale di diagnosi e visite specialistiche, così come per l’assistenza alle cronicità, come le malattie neurologiche, diabete, malattie respiratorie, scompenso cardiaco e tutto il resto. I tempi sono lunghissimi. Se hai il denaro a disposizione sopravvivi con le cure a pagamento, altrimenti muori prima.
La Sanità a Siracusa è fuori controllo, così come in tutti gli ospedali siciliani, anche per le difficoltà e la mancanza delle dotazioni del Servizio del 118, con lunghissime attese per il primo controllo di pazienti, e non importa se sono anziani o bambini, semi paralizzati o non vedenti; tutti regolarmente accalcati come sardine in scatola; l’impressione che in un campo profughi per immigrati alla fine appare tutto più accogliente. Le liste d’attesa sono smisurate per prestazioni strumentali e specialistiche; insufficienti le reti d’assistenza del tempo rispetto ai dipendenti dei siti ospedalieri; anche la rete per l’Infarto e delle Unità per l’ictus, la traumatologica e l’oculistica, sono in crisi perpetua.
I nostri tanti viaggi nei vari reparti dell’ospedale Umberto Primo di Siracusa sono stati di passione; gli appuntamenti pomeridiani sono tutti segnati per le ore 16, ma c’è gente che arriva già alle 15; tutto è senza una logica organizzativa, in una condizione dove traspare chiaramente l’effetto dell’anarchia e della raccomandazione, dove parecchi pazienti arrivano ed entrano alla chetichella, senza curarsi dei presenti che aspettano la fila democraticamente, anche se incazzati neri.
L’attesa è snervante, l’ordine della precedenza non tiene conto nemmeno degli ammalati oncologici con dolori e sofferenze; donne e anziani in evidente stato di sofferenza; d’estate il caldo rende tutto più difficile; le stanze dei medici hanno l’aria condizionata ma alla plebe, al popolo sovrano, non è consentito. La puzza del sudore si sente a naso. L’aria è irrespirabile, il tanfo irresistibile, il pianto dei bambini struggente. Nei reparti dei piccoli pazienti i neonati sono lasciati digiuni in attesa della visita per ragioni cliniche, ma senza fretta, i genitori sono in preda al panico, l’ansia ha il sopravvento, qualcuno grida, ma non si muove foglia; tutto rimane inerme. Il risveglio dei bambini è disastroso. Una signora suggerisce e chiede se può andare ad aspettare nella salumeria vicina, dove insiste un condizionare, e se per favore può essere chiamata con una telefonata quando arriva il proprio turno. L’infermiere con calma e allegria risponde a chi si lamenta, e dice: è inutile fare così. Aspettate e basta! Qualcuno risponde: Ma ai raccomandati perché non hai detto la stessa cosa? Oltre tre ore d’attesa in una condizione apocalittica, infernale. Senza nemmeno la pietà del riconoscimento della sofferenza. Peggio degli animali. Il primario del reparto si scusa, dicendo ma chissà cosa è successo; l’interrogativo è posto ai pazienti; ma è lui che deve sapere il perché di questo marasma. Finalmente entriamo. Quasi quattro ore di snervante attesa. C’è chi piange, ma stavolta non ride nessuno. È il fallimento, la putrefazione della società moderna.
Concetto Alota