Società e globalizzazione: la crisi del sindacato tra funzione storica e ruolo indebolito
La funzione del sindacato dei lavoratori si è indebolita. Il ruolo è cambiato. Il prestigio è calato. Oggi non ha più lo stesso significato e potere; il legame tra il sindacato e la società, con il forte ruolo positivo del sindacalismo nell’economia globalizzata di un tempo, è ormai tramontato. Un serio pericolo per il sindacato dei lavoratori che il caso successo a Siracusa ai due sindacalisti Faranda e Getulio, accusati dalla magistratura inquirente di estorsione contro una società per ammorbidire l’azione di lotta in favore degli interessi dei lavoratori possa avere creato un diaframma tra gli operai e il mondo sindacale, è reale, oltre che alla personale credibilità. E la ragione logica si trova nei commenti dei segretari territoriali di Cisl e Uil, nello scaricare le responsabilità sui due indagati, già sospesi dai rispettivi incarichi. Le risposte a questi fatti non dipendono da fattori che vanno oltre le variabili strettamente legati a fatti meramente sindacali, come mostrano di primo acchito le indagini comparate, e non è nemmeno una strategia nei diversi fatti contingenti delle singole aziende che continuano ad essere rilevanti, nonostante le dinamiche fuori regime industriali e sindacali, ma alla crisi d’identità del sindacato nel suo insieme.
Il diritto al lavoro in Italia è violato. Impegnarsi per dieci ore e ricevere la paga per appena quattro senza alcuna possibilità di difesa, è una realtà di tutti i giorni. Commesse, garzoni, tecnici, operai, giornalisti, attori, pittori e lavoranti in genere, tutti sfruttati per la sopravvivenza; la crisi condiziona le istituzioni dello Stato democratico. Nessuna certezza del diritto per chi lavora, men che meno per i disoccupati abbandonati al destino dei vinti ad arrangiarsi: spaccio di droga, lavori precari o stagionali, vendita abusiva di frutta e verdura, prostituzione, accattonaggio, emigrare all’avventura. In Sicilia poi, se non ha la raccomandazione, non puoi trovare lavoro nemmeno in una gelateria, o in un negozio come garzone, in un ristorante come lavapiatti o cameriere. Il lavoro è lasciato al libero arbitrio degli industriali, dei commercianti, artigiani e imprenditori in genere, scavalcando le forze di polizia, l’ispettorato del lavoro, la magistratura, quando invece deve costituire oggetto di politiche pubbliche, nell’ambito di una più ampia programmazione di stato sociale, dove il controllo deve essere efficace e i parametri conformi alla dignità umana. Manager pubblici con 40mila euro al mese; deputati e senatori che guadagnano dagli 11mila ai 25mila euro al mese, e chi, invece, non può comprare il latte per sfamare i propri figli.
I sindacati dei lavoratori tentano in tutti i modi di contrastare il grave fenomeno sociale, ma mancano le prove, e soprattutto la ferma volontà di chi deve denunciare per paura di perdere quel pizzico di lavoro trovato dopo anni di ricerca e umiliazione, per il passa parola tra imprenditori che sfilano una lista nera di chi cerca i propri diritti. In questa logica non scappa nessuna categoria. O abbozzi o non lavori. La paga è ridotta ad un terzo del dovuto, quando non c’è anche il ricatto sessuale. Una busta paga, in teoria e sulla carta completa, ma il denaro ricevuto dal dipendente è dimezzato, e a volte anche meno.
L’articolo 23della Costituzione recita che ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione; senza discriminazione, ha diritto a eguale retribuzione per uguale lavoro. Chi lavora ha diritto a una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana e integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale. Chi lavora ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi, ma anche l’iscrizione a un sindacato è un punto sfavorevole per avere diritto al lavoro.
In sostanza, il lavoratore deve sempre tenere a mente che restare senza un’occupazione si può verificare in ogni momento, dall’oggi al domani; tra l’altro le norme e in vigore non costituiscono un deterrente valido per il datore di lavoro, che può mandare a casa le persone senza doversi fare troppi scrupoli e assumere secondo la sua discrezionalità, in un mercato, dove i disoccupati sono migliaia.
La disoccupazione e la mancanza di lavoro sicuro spingono i lavoratori a trovare occupazione nel settore informale, “amichevole”, dell’economia sommersa. Ci sono poi i lavori sfruttati, forzati, dove i governi degli stati democratici, come da noi sulla carta, sono obbligati ad abolire, vietare e contrastare, intervenire, per ridurre quanto più possibile il numero di lavoratori che operano al di fuori dell’economia sommersa, obbligando i datori di lavoro a rispettare la legge e dichiarare i nomi dei loro lavoratori. Insomma, rendere possibile la garanzia dei loro diritti. È poi proibito il lavoro dei minori di sedici anni, ma è solo una norma scritta e basta. Il diritto al lavoro, non ha nulla a che vedere con l’ideologia neoliberista e relative attaccaticce varianti. La regola teorica del vecchio Marx vuole che il salario si abbassi quando il numero dei disoccupati si alza; regole e leggi che nessuno rispetta, aggirando invece le mille norme in materia vigenti in Italia. Il diritto al lavoro, di fatto, è negato.
La fine dell’industrializzazione e i fattori che hanno portato al tramonto dell’impresa classica, insieme e al sindacato dei lavoratori, risentono della spersonalizzazione dell’incontro fra la domanda e l’offerta di manodopera e della negoziazione delle condizioni di lavoro in maniera diretta. Il mercato del lavoro è ormai dato dalla concorrenza tra gli stessi lavoratori, senza più le istituzioni, dove i sindacati dei lavoratori avevano un ruolo mediatico e di rappresentatività associativa. Un dualismo, dettato fra protetti dal sindacato regolare e gli esclusi tra i quali la grande maggioranza dei più giovani; un movimento liquido tra la divisione e la funzione delle organizzazioni sindacali che è diventata in parte politica che appare largamente superata, non più compresa dalla maggior parte delle maestranze. È cambiata anche la regola della concertazione che costituiva uno strumento utile e dare una marcia in più sia al sindacato sia alle istituzioni, così come alle associazioni imprenditoriali sugli obiettivi da raggiungere e i vincoli da rispettare con la condivisione.
Il sindacalismo si è costruito dal Dopoguerra in poi fino all’attuale crisi prevalentemente intorno alla contrattazione di livello nazionale e locale, che si è nutrito d’intese tra il sindacato stesso e il Governo. La storia dei movimenti operai europei è piena di sindacati che si sono fatti partito, o hanno stabilito rapporti molto stretti con partiti politici amici. Questo fenomeno, quasi scomparso, era legato ad un contesto nel quale il compito che il sindacato e il partito si proponevano era di correggere la contorsione di cui prima beneficiavano solo le imprese nel mercato del lavoro a svantaggio dei lavoratori. Siamo ritornati indietro nel tempo. La storia si ripete. Ecco la prova.
Concetto Alota